Recensione Valentin (2002)

Un dolce, toccante "viaggio" autobiografico che ha i sapori e i colori di un'età irripetibile: questo è l'ultimo film di Alejandro Agresti, uno dei maggiori cineasti argentini contemporanei.

Lo sguardo dell'infanzia

Un dolce, toccante "viaggio" autobiografico che ha i sapori e i colori di un'età irripetibile, una malinconica rievocazione, un atto d'amore per il cinema visto come mezzo per scavare dentro sé stessi e tirar fuori storie semplici ma in grado di coinvolgere ed emozionare lo spettatore: questo è Valentin, l'ultimo film di Alejandro Agresti, uno dei più importanti cineasti argentini contemporanei (di lui abbiamo potuto vedere la commedia L'ultimo cinema del mondo, del 1998).
Ambientato nella Buenos Aires del 1969, il film segue le vicende del piccolo Valentin, di nove anni, praticamente lasciato solo da una madre che è fuggita quando lui aveva due anni, e da un padre donnaiolo e poco attento, sempre in giro per lavoro o a rincorrere ragazze. Il bambino vive con la nonna, donna malinconica e debole, che è rimasta distrutta dalla perdita, anni orsono, di suo marito. Il piccolo protagonista, pur nell'estrema difficoltà della sua situazione familiare, non rinuncia all'ottmismo, alla fiducia nella possibilità che suo padre trovi la donna giusta, una persona che possa finalmente sostituire quella madre di cui Valentin sente fortemente la mancanza. Così, l'incontro del padre con la bella Leticia, a cui subito il bambino si affeziona, darà nuova linfa alla fiducia di Valentin; ma purtroppo, le cose non saranno così facili come il bambino sperava.

Quello di Agresti è un film che si può senz'altro definire "a misura di bambino": lo sguardo con il quale seguiamo la vicenda è quello sognante, a volte confuso ma energico e inguaribilmente fiducioso del piccolo protagonista. Il mondo degli adulti appare lontano, poco comprensibile e pieno di piccole meschinità, contrapposto alla realtà "pulita", ricca di speranza, di piccoli e grandi sogni di Valentin. Il tocco del regista è leggero, il tono, per gran parte del film, è da commedia, la regia si "nasconde" volutamente dietro le quinte di una narrazione che coinvolge in virtù della semplicità e dell'universalità dei temi trattati. La sceneggiatura si caratterizza principalmente per la sua freschezza, e delinea personaggi assolutamente credibili a cui lo spettatore non può fare a meno di affezionarsi. Colpisce l'empatia dimostrata da Valentin verso caratteri ugualmente toccati, feriti dalla solitudine: sua nonna, preda di ricordi che la tormentano, e che a sua volta si appoggia disperatamente al bambino; il pianista Rufo, solitario e malinconico, perso tra notti che sanno di alcool e sigarette, che stabilisce una sorta di affinità elettiva con il piccolo protagonista; Leticia, da subito colpita dall'intelligenza e dalla forza di Valentin, che finisce per affezionarsi al bambino anche al di là della sua relazione con il padre. Un'intrecciarsi di vicende dal quale Valentin esce meglio di tutti, proprio in virtù della sua capacità di reagire alle avversità, di mantenere i sogni anche quando la vita sembra fare di tutto per strapparglieli. E il film, in generale, sembra essere proprio un invito a recuperare lo sguardo semplice e lineare dell'infanzia, unito a quella capacità propria dei bambini di reagire con energia e fiducia anche alle situazioni più difficili.

E' da sottolineare anche che, pur in un film sostanzialmente incentrato sulla sfera privata di un gruppo di persone, non mancano riferimenti all'attualità del periodo, che comunque aiutano a comprendere lo "sfondo" in cui la vicenda si svolge: è da ricordare a questo proposito la sequenza (ispirata ad un episodio reale, ha svelato il regista) della messa in cui il prete cita la figura di Ernesto "Che" Guevara, e la costante presenza di un antisemitismo strisciante, inculcato al giovane protagonista da suo padre, e da cui egli solo alla fine riuscirà a liberarsi.
Gli attori riescono a tratteggiare i personaggi loro affidati in modo eccellente: al giovane Rodrigo Noya, espressivo e pressoché perfetto nel ruolo di Valentin, si affiancano una Carmen Maura credibile e malinconica, a cui la differenza di età con il suo personaggio non ha nuociuto minimamente, e lo stesso regista, efficace e sgradevole come richiesto dal copione, nel ruolo del padre di Valentin (che è poi in realtà il ruolo di suo padre, confesserà Agresti: una parte che a suo dire non è stato piacevole interpretare).

"Meglio tardi che mai", viene da pensare guardando la data di produzione di questo film (2002), e considerando che si tratta di una pellicola di assoluto valore, un piccolo gioiello che non ha nulla da invidiare alle uscite più blasonate, soprattutto provenienti da oltreoceano, in una stagione che comunque, finora, si è caratterizzata per un livello qualitativo decisamente alto. Cinema che riscopre la sua funzione di narrazione di storie, e che fa della semplicità, unita all'onestà, il mezzo per veicolare emozioni autentiche, che non hanno bisogno di enfasi o artifici per giungere dritte al cuore di chi guarda.

Movieplayer.it

4.0/5