Recensione Tournée (2010)

Amalric porta in scena una storia attraverso la quale trapela la fascinazione per il mondo dello spettacolo, ma anche per coloro che pur non essendo mai sul palco o sotto i riflettori sono in realtà il cuore pulsante del successo o meno di qualsiasi show.

In viaggio, senza rimpianti

Chi frequenta Cannes e in generale i film francesi, conosce Mathieu Amalric come uno dei più talentuosi intepreti del panorama transalpino. Ma stranamente Amalric non comincia la sua carriera da attore in modo tradizionale, ma piuttosto come assistente montatore e alla regia di registi del calibro di Louis Malle e Alain Tanner. Non deve stupire quindi se alla sua ottima filmografia da interprete (Munich, Quantum of Solace e soprattutto il ruolo da protagonista ne Lo scafandro e la farfalla) vi è un secondo percorso da regista, forse più nascosto e segreto, ma ben più importante per capire l'uomo che si cela dietro la maschera d'attore.


Tourneé, in concorso al 63° Festival di Cannes, è il suo quarto film da regista ma anche il primo in cui è contemporaneamente davanti e dietro la macchina da presa e di certo non per caso: nella storia di Joachin, ex produttore televisivo francese trasferitosi negli USA per gestire e coordinare uno spettacolo di burlesque ma che decide di tornare in patria per un tour, non è difficile riscontrare una chiara fascinazione non solo per il mondo dello spettacolo in generale ma proprio per coloro che, come appunto produttori e per estensione anche i registi, pur non essendo mai sul palco o sotto i riflettori sono in realtà il cuore pulsante del successo o meno di qualsiasi spettacolo. E' forse proprio per questo che Amalric all'inizio avrebbe preferito limitarsi solo alla regia e alla sceneggiatura, ma la scelta all'ultimo momento di impegnarsi in prima persona regala alla pellicola, oltre che la sua nota bravura, un fascino ancora superiore.

Altrettanto importanti però sono ovviamente queste artiste che Amalric ha reclutato in giro per gli States e che con le loro personalissime coreografie e costumi rappresentano sé stesse non solo come performers ma anche nel privato, mostrandoci così la loro vita "on the road" fatta di squallidi teatri, alberghi tutti uguali, tanti non luoghi che di fatto ne compongono la loro quotidianità, una vita decisamente meno glamourous e bizzarra di quanto si possa immaginare. Il tono documentaristico adottato dal regista soprattutto per le sequenze in teatro permette al film di restituire al tempo stesso l'allegria di queste performance sopra le righe e lo squallore di una tournéé francese in cui la Francia (quantomeno quella da cartolina che le ragazze avevano sognato) non c'è praticamente mai.

E tra una città e l'altro, uno spettacolo e l'altro, emerge l'inquietudine di questo perdente che non vuole ammettere di esserlo nemmeno a se stesso, un uomo impossibilitato a relazionarsi con tutto il suo passato, figli compresi, e che si accontenta della sua nuova famiglia, quella che gli permette di vivere senza rimorsi e senza rimpianti e che in cambio chiede davvero poco, un nuovo posto dove esibirsi. La vita dei performer, e Amalric da grande attore lo sa bene, in fondo è questa.

Movieplayer.it

3.0/5