Recensione In amore, niente regole (2008)

Una disinvolta e raffinata commedia retrò che dietro la sua esuberante e nostalgica patina glamour nasconde la voglia di raccontare e fissare nella memoria le grandi contraddizioni della storia statunitense.

Football in salsa vintage

Lo scapolo più ambito di Hollywood e la pimpante biondina Reneé Zellweger in versione charleston, che dopo Il diario di Bridget Jones non ha ancora perso la sua indole da zitellona, si sfidano in un garbato e frizzante duello amoroso in In amore, niente regole, una divertente commedia romantico-sportiva che omaggia la moda degli anni ruggenti, la musica, lo sport, la comunicazione e lo stile di un'epoca che segnò un grande cambiamento come gli Anni Venti. Gli anni della propaganda politica selvaggia, del jazz e delle leggi sul proibizionismo, gli anni dei primi movimenti femministi e del voto alle donne, che acquistano pian piano sempre maggiore importanza anche in professioni fino a poco tempo prima ad uso e consumo di soli uomini, un'epoca di transizione in cui l'America cerca di scacciare, senza riuscirvi, l'incubo e il ricordo del conflitto appena concluso. Un fardello, quello della guerra, che sembrava non voler abbandonare nemmeno i campi di football, uno sport che ai quei tempi era ancora prettamente fisico, violento e spettacolare allo stesso tempo, libero da ogni regola e da ogni condizionamento economico, uno sport in cui i giocatori si sentivano e venivano considerati un po' come soldati in trincea, rozzi, sporchi di fango fino ad esserne ricoperti e pronti a tutto pur di segnare un touchdown. Proprio in quegli anni, in cui il pubblico pagante non era poi così numeroso, si andavano diffondendo le sponsorizzazioni pubblicitarie, unico mezzo di sostentamento per squadre alle prese con le trasferte, con l'acquisto delle divise e con il reclutamento dei giocatori più in gamba. Da qui a regolare il football con una miriade di piccole norme comportamentali e a renderlo un'attività 'da signorine', rispetto a com'era stato originariamente concepito, il passo fu breve. E se non si può più combattere usando ogni tanto qualche ingegnoso trucchetto, allora è bene reclutare dei grandi campioni.

E' quel che tenta di fare Dodge Connolly (George Clooney), capitano non più giovanissimo di una scalcinata squadra di football, provando a convincere il procuratore di Carter Rutheford, senza dubbio il miglior giocatore su piazza, a portare il fuoriclasse tra le fila del suo team. Lo chiamano 'il proiettile' per quanto è veloce, ed oltre ad essere un venerato eroe di guerra Rutheford è anche un bel ragazzo. Uno così non può non attirare l'attenzione dei media, in particolare quella di una sagace giornalista di nome Lexie Littleton (la Zellweger) che, incoraggiata dal suo capo e armata di un fascino a dir poco disarmante, inizia a indagare sul passato del ragazzo e a seguire la squadra come una sorta di mascotte. Il suo seducente sorriso farà invaghire sia il giovane campione sia l'irresistibile 'nonnetto' della squadra, e riuscirà a mettere in pericolo due carriere e le sorti di un'intera squadra in un sol colpo.

Con quel suo sorriso contagioso e quel look sobrio ed elegante che lo rende perfetto in ogni situazione (se la cava benissimo sia in gilet e brillantina a bordo di una moto d'epoca che sul campo a rotolarsi nel fango armato di caschetto di cuoio e paradenti), George Clooney veste i panni del miglior Cary Grant offrendo una delle sue migliori prove attoriali di sempre. Un'interpretazione irresistibile ricca di autoironia, di sarcasmo e di sguardi ammiccanti, coadiuvata da un'ineffabile faccia da schiaffi, che va a incorniciare una carriera straordinaria.
In amore, niente regole è un film disinvolto e raffinato, una commedia retro che dietro la sua esuberante e nostalgica patina glamour nasconde la voglia di raccontare e fissare nella memoria (ancora una volta) le grandi contraddizioni che hanno caratterizzato e caratterizzano tuttora la storia statunitense. Impeccabile sotto ogni punto di vista la ricostruzione storico-scenografica dell'epoca, brillante la fotografia dai colori caldi e tenui, straordinari i costumi in rigoroso stile vintage, ma il plauso più grande va alla colonna sonora allegramente jazzata che accompagna sfiziosamente il film, scritta dal grande Randy Newman (premio Oscar per la canzone originale di Monsters & Co.). Il merito di aver ricreato oggi sul set di Hollywood la magia delle commedie americane degli anni '30 e di aver 'riesumato' un modo di fare cinema ormai morto e sepolto è però tutto della sceneggiatura, scritta dai due ex-reporter di 'Sports Illustrated' Duncan Brantley e Rick Reilly, rimasta per ben 17 anni sugli scaffali della Universal prima di giungere nelle mani di Clooney. Brava, anzi bravissima la Zellweger nei panni della primadonna, bionda e persino intelligente, che riesce nel difficile compito di portare all'altare un pezzo da novanta come George Clooney. Certo che ne ha fatta di strada Bridget Jones...

Movieplayer.it

3.0/5