Recensione In un altro paese (2005)

Una appassionata inchiesta, solida e documentata, che ripercorre in modo serrato le battaglie dei giudici Falcone e Borsellino, vittime della mafia nel 1992.

Eroi della contemporaneità

Per approcciarsi a un'opera del genere bisogna tener presente un punto. Non si tratta in senso stretto di un film per come tradizionalmente si intende il termine, né di un documentario di stampo cinematografico. Ci troviamo davanti a quello che potrebbe essere (e a quanto pare lo diventerà) un approfondimento giornalistico da seconda serata, curato dallo staff di cronaca o di politica di una qualsiasi testata.
Ma, al di là di quel che si possa pensare, è proprio questo il motivo che ne rende ancora più necessaria e puntuale una distribuzione sui grandi schermi delle sale. Per dare dignità, per richiamare l'attenzione su un prodotto che, altrimenti, passerebbe come al solito un po' in cavalleria.

Un film militante e passionale, che nasce e scaturisce dall'onestà di un onesto artigiano, Mario Turco, che lavora con l'umiltà di sapere di andar a lavorare su un progetto che, nelle intenzioni, doveva andare a rinfoltire il solido sottobosco del giornalismo d'inchiesta. La fortuna dell'incontro con quella interessantissima realtà che è la Fandango Doc ha regalato al film un circuito distributivo (anche se non convenzionale) nazionale, riportando al centro del dibattito cinematografico il grande giornalismo d'inchiesta.
Turco assume come pretesto narrativo la traccia che gli offre il libro di un giornalista inglese, Alexander Stille, che si pone anche fisicamente come pretesto narrativo dello stesso film. E' infatti seguendolo nei suoi spostamenti in Sicilia, in cerca di documentazione e di dichiarazioni, che nasce e cresce la pellicola.
Pellicola che sfrutta le interviste ad un nutrito numero di magistrati giudicanti e inquirenti per ricostruire le vicende, mane e storiche, di due degli eroi della storia recente d'Italia: Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.

Tutta la loro vicenda, e la loro profonda amicizia, che ne determinerà un'unione solidale nella vita come nel lavoro, viene ricostruita con minuziosità e partecipazione, dagli albori degli omicidi di Giuliano e Basile, al rapporto con il capo del pool Caponnetto e la relativa conduzione del maxi-processo dell'85/87, fino alla sentenza della Cassazione e alla consecutiva tremenda vendetta, con le stragi che colpirono tragicamente i due magistrati. Il tutto con un occhio attento, circostanziato ma non limitato da alcunché, ma soprattutto assolutamente documentato. L'alternarsi delle testimonianze (e della commozione) dei vecchi amici e colleghi con le immagini di repertorio che ripercorrono la storia di una terra martoriata, rendono lo scorrimento del film serrato ma mai alla ricerca di una compiacenza forzata da parte del pubblico.

Stona, dopo tanto rigore e serietà, un finale che affronta semplicisticamente e superficialmente la stretta attualità, con riferimenti all'attuale governo e alla situazione politica che tanto più suonano male, quanto fino agli ultimi cinque minuti il film non presta mai il fianco a dietrologie o ad accuse di faziosità.
A parte questo passo falso, è un film che, pur in tutta la sua particolarità, fa bene al cinema italiano, e ridà slancio al suo coraggio civile e al suo impegno sincero, scevro dai veleni di una politica che bada solo alla sua conservazione.