Recensione Police, adjective (2009)

Ancora un sorprendente film proveniente dalla Romania incanta il pubblico di Cannes. Porumboiu con il suo secondo lungometraggio dimostra grande maturità e piglio autoriale.

Cinema, parole

Una delle piacevoli scoperte di questo Festival di Cannes 2009 è stato un piccolo film rumeno, Police, Adjective, presentato nella sezione Un Certain Regard. Si tratta di una conferma non solo per il regista Corneliu Porumboiu, già autore di A est di Bucarest che propriò qui a Cannes vinse tre anni fa la Camera d'Or per il miglior esordio, ma per l'intera cinematografia rumena che si dimostra sempre più una delle più interessanti dell'intero panorama europeo e lo fa ancora una volta attraverso film volutamente minimali in termini di plot o avventimenti ma allo stesso tempo molto ricercati nei dialoghi e nelle coraggiose scelte registiche.

Il film di Porumboiu racconta in modo dettagliato alcune monotone giornate della vita di Cristi, un poliziotto in borghese incaricato di pedinare uno studente accusato da un suo coetaneo di fumare e spacciare marijuana. Cristi fa il suo lavoro in modo irreprensibile, seguendo il ragazzo e i suoi amici, raccogliendo residui di spinelli e facendo la posta sotto casa per ore aspettando che succeda qualcosa. Invece nulla accade, le sue giornate trascorrono interminabili e nessun indizio sembra confermare la tesi dello spaccio. Per il suo capitano però basterebbe anche solo l'accusa di possesso e utilizzo che l'attuale legge rumena punisce con una condanna fino a cinque anni. Ma Cristi non se la sente di portarsi sulla coscienza la vita di questo ragazzo che in fondo non fa niente di diverso da tutti i giovani di tutti gli altri paesi europei dove non esiste una pena altrettanto severa; è convinto che prima o poi la legge cambierà anche nella sua patria e per questo cerca di evitare il confronto con il suo superiore e posticipare l'arresto.

Si tratta quindi di un anti-poliziesco, dai tempi molto dilatati che ben rispecchiano non solo il lavoro alienante di Cristi, fatto di attese e piccole noie burocratiche, ma anche la staticità di un paese solo apparentemente uscito da una crisi ma ancora in attesa di un vero e proprio rinnovamento. Poromboiu persegue questa sua tesi in modo mai banale ma anzi azzardando una scelta particolarmente originale e ben riuscita, ovvero il solo utilizzo della parola, scritta e parlata. Questo discorso puramente dialettico che comincia con un dialogo tra Cristi e la compagna sui continui cambiamenti che l'Accademia Rumena impone alla propria grammatica e che si va a contrapporre invece alla staticità delle altre regolamentazioni, scaturisce in uno splendido finale composto da un unico grande piano sequenza a camera fissa (non dissimile da uno altrettanto bello di 4 mesi, 3 settimane, 2 giorni del compatriota Mungiu, palma d'oro due anni fa, e con cui questo Police, adjective condivide anche l'attore protagonista di questa lunga sequenza, Vlad Ivanov) che è il cuore dell'intero film ed un grande esempio di cinema cerebrale e autoriale.

Movieplayer.it

4.0/5