28 anni dopo, il regista Danny Boyle rifiutò di lavorare su un film di Alien: "C'era troppa computer grafica"

Cinque anni prima di lanciare il suo franchise con "28 giorni dopo", Danny Boyle rifiutò l'opportunità di cimentarsi in una delle più grandi serie di film di fantascienza di tutti i tempi, a causa dell'eccessivo utilizzo della computer grafica.

Una foto con Danny Boyle

Prima di rivoluzionare l'horror con 28 Giorni dopo, Danny Boyle disse no a Alien: La clonazione. Il regista, allora reduce dal successo di "Trainspotting", rifiutò l'incarico per la difficoltà di lavorare con gli effetti digitali e l'eccessiva computer grafica.

Danny Boyle rifiutò Alien: Resurrection per la troppa CGI

C'era un tempo, a metà anni '90, in cui Danny Boyle era la nuova stella del cinema britannico, reduce dal successo cult di Trainspotting e corteggiato da Hollywood. Fu proprio allora che i produttori di Alien: La clonazione lo vollero fortemente alla regia del quarto capitolo della saga ideata da Ridley Scott. Ma Boyle, oggi alle prese con la promozione del suo 28 Anni dopo, ha svelato di aver gentilmente declinato. "Ho incontrato Sigourney Weaver e Winona Ryder, che erano già coinvolte nel progetto", ha raccontato a The Hollywood Reporter. "Era tutto molto serio. Loro erano splendide. Ma era l'inizio del passaggio alla computer grafica. Quel momento in cui tutto stava cambiando. E io non riuscivo a gestirla."

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Danny Boyle presenta 28 Anni dopo

Fu Jean-Pierre Jeunet a prendere il timone del film uscito nel 1997, mentre Boyle dirottò le sue energie su "A Life Less Ordinary", commedia surreale che - come ammette lui stesso - fu un mezzo disastro: "Erano sempre i ragazzi della 20th Century Fox. Non feci Alien e andai a realizzare quel flop al loro posto! Ma ormai è acqua passata." Nonostante la rinuncia, Boyle rimane legato emotivamente alla saga: "Amavo l'idea di Alien. Ma in quel momento ho avuto un raro momento di lucidità e ho pensato: 'Non sei la persona giusta per questo film.'"

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Lontano dagli alieni ma non dalle sfide tecniche, Boyle si è comunque riconciliato con il mondo degli effetti visivi in lavori successivi come Sunshine (2007) e 127 Hours (2010), pellicola che seguì la sua vittoria agli Oscar con Slumdog Millionaire. Ma con la notorietà arrivano anche i rischi: "Dopo gli Oscar sei piuttosto arrogante, un'arroganza che puoi usare bene o male," ha confessato. "Credo che noi l'abbiamo usata bene, perché 127 Hours era un film che altrimenti non sarebbe mai stato realizzato."