Vittorio Storaro a Giffoni: "Tutto è nato da Charlie Chaplin..."

Il Premio Oscar plurimo Vittorio Storaro ripercorre le tappe della sua carriera al Giffoni Film Festival: durante la Masterclass spiega lo studio che l'ha portato a "illuminare" alcuni capolavori della storia del cinema.

Egoriferiti: di solito gli artisti non amano etichette né paragoni di sorta. I maestri, invece, ammettono sempre di essere discepoli di qualcuno. E il tre volte Premio Oscar Vittorio Storaro non fa eccezione. Alla 44° edizione del Giffoni Film Festival (Giffoni Valle Piana, 18-27 luglio) ha tenuto una Masterclass per ripercorrere le tappe della sua carriera seguendo il file rouge dell'ispirazione. Ecco, quindi, come una passione prende vita dall'esempio di grandi pensatori, filosofi e artisti. Nessun orpello barocco: Storaro va dritto al punto e non usa l'astrazione per confondere la platea, anzi abbraccia l'eccellenza dell'arte e della cultura con potenti agganci alla realtà.

Ha conquistato un tris di Academy Awards con Apocalypse Now, Reds e L'ultimo imperatore ma ama ancora puntualizzare la sua professione: "Non sono un fotografo, ma un cinematografo ossia una persona che si esprime in cinematografia. Non sono un direttore della fotografia, che è una definizione sbagliata perché di direttore ce n'è uno ed è il regista. Io sono un cinematografo". Il talento, a suo dire, dev'essere necessariamente supportato della tenacia per raggiungere i massimi livelli: "Perché è come se nelle cose che vogliamo produciamo un'energia affinché si realizzino. Non dobbiamo aspettare che le cose vengano a noi, ma andare loro incontro".

C'era una volta

L'ultimo imperatore 3D: una scena
L'ultimo imperatore 3D: una scena

"È vero che ho trovato dei grandi maestri che devo ringraziare - continua Storaro - tutti mi hanno ispirato e allora sono andato a pensare a quale sia stata la mia prima emozione. Mio padre faceva il proiezionista, ha proiettato tanti film e li ha amati. Ha messo i suoi sogni sulla mia spalla e mi ha spinto a studiare fotografia. La prima immagine del cinema per me è legata a Charlie Chaplin: per me il cinema è Charles Chaplin". Da quel colpo di fulmine all'inizio di una professione il passo è stato breve: imbevuto di arte e cultura fin da bambino, ha ricevuto gli stimoli giusti per indirizzare lo studio in tal senso e approfondire a livello teorico la "materia". "L'armonia nel cinema - dice - c'è quando viaggiano insieme luce, musica e parole. E sono arrivato alle Muse che erano le arti ai tempi di Platone".

E arrivò Coppola

Marlon Brando in una sequenza di Apocalypse Now
Marlon Brando in una sequenza di Apocalypse Now

Una ricerca continua e incessante la sua, dunque, per mettere in scena emozioni, stati d'animo e vicende capaci di far settare il tono di una pellicola con un solo fotogramma. Consapevole, comunque, che il tocco del regista avrebbe cambiato, di film il film, la sua visione. "Quando ho fatto Apocalypse Now, ho chiesto a Coppola: perché farlo fare a me?. Lui mi disse che non era un film di guerra, ma sul senso della civilizzazione perché quando una cultura si sovrappone ad un'altra si fa un atto di violenza. Gli serviva il rapporto tra ombra e luce dove l'ombra rappresenta l'inconscio, il passato. Ed è per questo che Coppola mi volle. Caravaggio e Platone mi hanno portato a tutto questo".

In effetti tutto è cominciato in una chiesa e da un'opera capace di rivoluzionargli la vita: "Ho visto un dipinto di Caravaggio - ricorda il direttore della fotografia - La vocazione di San Matteo: mi ha cambiato la vita perché era la prima volta che vedevo un segno di luce dividere il mondo in due e con questo racconta tutta una storia. Ha sempre usato la luce per rappresentare la divinità. E ho cercato di capire il senso di questa luce e ho visto che le sue composizioni erano diverse, erano come due composizioni in una. Lui si trova di fronte ad una grande complessità e attraverso la luce dà il senso di tutto. Questa è una mia visione, non di un critico, ma di uno che fa cinematografia".

Luci e ombre

Una celebre scena di Novecento
Una celebre scena di Novecento

Il mondo, quindi, è una grossa dicotomia e il lavoro di un'artista sembra quello di cogliere tutte le varie sfumature di grigio in uno spettro cromatico di bianco e nero. "Nell'età in cui non riusciamo a distinguere le cose - spiega Storaro - ma guardiamo solo l'aspetto emotivo, i colori li facciamo corrispondere a degli stati d'animo. Ognuno di noi li vede a seconda della nostra crescita. Non soltanto su di un piano fisico. Poi c'è la psicologia perché diamo un'interpretazione diversa a seconda del tipo di esperienza vissuta". Attenzione, però, a fare buon uso della tecnologia: "L'immagine elettronica è un salto in avanti al quale non si pensa mai - continua - S_ono passato dall'età dell'innocenza a quella della consapevolezza. Qual è il grande pericolo? Che si possa pensare di fare un film da soli_". Il cerchio si chiude con un tuffo nel passato: "Tutto per me finisce davanti al Cenacolo di Leonardo. Leonardo ha messo al centro dell'universo l'essere umano. E l'immagine più composta di simmetria e di rapporto con l'universo".