L'ottava giornata della Mostra di Venezia è soprattutto quella di The Town di Ben Affleck, attore, regista e sceneggiatore molto amato da queste parti, dopo la vittoria della Coppa Volpi nel 2006 per Hollywoodland. Per la sua seconda regia, dopo l'acclamato Gone Baby Gone, Affleck si cala nel ruolo di un rapinatone di Boston, città per eccellenza della criminalità e vero e proprio corpo tematico del film tratto dal romanzo Il Principe dei ladri di Chuck Hogan. Ancora una volta il cinema di Affleck si alimenta di classicismo e nel suo film si respira l'aria del noir più tradizionale, fatto di criminali impossibilitati a uscire dal proprio contesto sociale. In bilico tra tentazioni autoriali - implicite in una messa in scena lontana dall'ipercinetismo contemporaneo - e ricerca del pubblico, il film non riesce a fuggire a un finale tipicamente hollywoodiano che tradisce lo spirito del romanzo.
Se The Town è di certo il film di maggior richiamo della giornata, l'opera più importante è senza dubbio Venus Noire di Abdel Kechiche, già passato a Venezia con molte opere tra cui l'ultimo e straordinario Cous cous. Il suo nuovo film, selezionato in concorso, conferma la statura assoluta di Kechiche attraverso un'opera lunga e difficile di una durezza imponente. Il film racconta il martirio corporeo e psicologico di Saartije Barman, sudafricana realmente vissuta all'inizio del'800 e trasformata in fenomeno da baraccone a Londra e a Parigi, da un impresario di spettacoli che decide di puntare sul mito della nera selvaggia, facendo mostra del suo bacino prominente. Morta nello strazio dell'abbandono alla sua condizione di malattia a Parigi, dove era finita a prostituirsi, la storia di Saartjie mette in mostra con rabbia assoluta il marciume in cui la civiltà occidentale ha costruito le sue certezze culturali e scientifiche, per un film che scuote profondamente le viscere. L'altro titolo selezionato in Concorso nella giornata è Attenberg di Athina Rachel Tsangari, film greco tutto incentrato sul personaggio di Marina, cresciuta in un piccolo villaggio isolato, la cui vita cambia con l'arrivo di uno straniero. La regista greca, nota anche per la sua regia televisiva della cerimonia di apertura dei Giochi Olimpici di Atene 2004, si sofferma su una Grecia rurale dove tutto pare immodificabile, fino a quando un semplice elemento esterno turba la quiete psicologica della sua protagonista.Molta Italia anche oggi sparsa un pò tutte le selezioni. Marco Bellocchio ha presentato Sorelle mai, un progetto sperimentale passato fuori concorso e composto da una serie di spezzoni di film fatti negli anni nel suo noto corso/laboratorio di cinema. Nonostante la particolarità del progetto il film ha una sua forte coesione narrativa risultante dall'idea di raccontare la storia di un pugno di personaggi attraverso gli anni, seguendo il reale scorrimento del tempo. Girato in digitale dal 1998 al 2009 il film è carico dello stile ricercato del regista italiano confermando la sua indiscutibile caratura artistica.
Controcampo italiano dedicato invece ai fuori formato con due mediometraggi: Tajabone di Salvatore Mereu, con il regista sardo alle prese con una sorta di diario visivo fatto con un anno di lavoro all'interno di una scuola media. Mereu racconta Cagliari e le sue difficoltà attraverso gli occhi di un gruppo di studenti abbandonandosi alla totale libertà e realismo della situazione. La prima volta a Venezia del giornalista Antonello Sarno invece è un documentario che racconta proprio il festival che lo ospita, attraverso le molteplici testimonianze degli addetti ai lavori.
Ma la sorpresa più piacevole della giornata viene ancora da un film italiano : Et in Terra Pax sorprendente noir ambientato nel quartiere Corviale di Roma, da sempre simbolo di un'emarginazione sociale irreversibile. Matteo Botrugno e Daniele Coluccini azzeccano stile e volti di un film e si calano in una realtà difficile da raccontare senza cadere nelle sacche più retrive della retorica e del didascalismo sociologico, facendo propria la lezione pasoliniana ma all'interno di un contesto che corteggia il cinema di genere. Rigoroso e sicuro nella sua realiazzione digitale il film sorprende per la capacità di dare luce a una sintesi nerissima che esplode nell'eccellente finale.