Scrivendo la recensione di Un padre, commedia drammatica che la Sony ha venduto a Netflix in seguito all'emergenza sanitaria, viene un po' da sorridere pensando al fatto che in questi giorni Kevin Hart, protagonista della pellicola, si sia pronunciato sulla questione della cancel culture, affermando di esserne al di sopra e di non farci caso. Questo dopo che due anni fa lo stesso Hart si era dichiarato vittima dello stesso fenomeno, dicendo di essere stato costretto a rinunciare alla conduzione degli Oscar a causa di una controversia legata a vecchie battute sui gay. In realtà fu lui stesso a scegliere di non condurre la serata, poiché rifiutava di scusarsi formalmente per alcune uscite di dubbio gusto in occasione di vecchi numeri di stand-up comedy, e ne approfittò per ergersi a paladino della libertà di espressione, opponendosi a un pubblico troppo sensibile che gli voleva rovinare la carriera. Carriera che in realtà non è mai stata a rischio: mentre scriviamo queste righe ha in cantiere altri quattro progetti cinematografici, ed è ancora in vigore il suo accordo molto lucrativo con Netflix per speciali di stand-up. Viene più che altro da chiedersi se le nuove dichiarazioni non fossero ironicamente legate al nuovo progetto, teoricamente privo di materiale offensivo.
Padre e figlia
Un padre si basa sull'autobiografia di Matthew Logelin, interpretato appunto da Kevin Hart. All'inizio del film ha tutto ciò che può desiderare: un buon lavoro, una moglie perfetta, una figlia in arrivo. Solo che la signora Logelin muore poco dopo il parto a causa di una complicazione non prevista, e Matt si ritrova a doversi occupare della neonata Mandy completamente da solo, o quasi (madre, suoceri e amici danno una mano). Passano gli anni, e Matt sembra aver ritrovato l'equilibrio di un tempo, nonostante lo scetticismo iniziale della suocera Marion (Alfre Woodard). Ma quando si presentano nuove opportunità, sul piano professionale e personale, egli comincia a chiedersi se sia possibile avere nuovamente tutto nella vita, con Mandy che ha un ruolo fondamentale e, a detta del padre, impossibile da modificare per qualunque ragione al mondo. Ma sarà davvero così?
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Le solite peripezie
La storia vera su cui si basa il film risale al 2008, e anche senza quel dettaglio fattuale rimane il sentore che il lungometraggio, diretto da Paul Weitz, sia un po' fuori tempo massimo: pur giustificandole con il materiale di base, il film propone scenari visti e rivisti, a livello umoristico e tematico, cercando di trasformare in materiale drammatico forte una premessa - il coraggio di un padre single che affronta tutte le difficoltà da solo o quasi - che non ha nulla di unico o eccezionale nel 2021 e difficilmente lo avrebbe avuto se l'adattamento fosse uscito in prossimità della pubblicazione del libro. O meglio, non lo avrebbe avuto se fosse uscito in una versione più aderente al reale: il vero Matthew Logelin è bianco, e non è da escludere che Hart - che è anche produttore - si sia interessato alla storia per proporre un esempio di paternità afroamericana che vada contro lo stereotipo del genitore perennemente assente (e c'è anche un'aria di desiderio di redenzione da parte del comico, che nei suoi spettacoli ha candidamente di aver tradito la sua attuale moglie mentre lei era incinta).
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Ed è lì che si riscontra il maggiore elemento di interesse della pellicola: la performance di Hart che, al di là di eventuali ipotesi sui motivi che lo abbiano spinto a scegliere quel ruolo, mette in evidenza un talento drammatico di non poco conto da parte di un attore che finora si è sostanzialmente limitato a parti che ne valorizzassero la maschera comica, a base di riluttanza a farsi coinvolgere nell'avventura di turno e lamentele a voce molto alta (basti pensare al suo sodalizio con Dwayne Johnson). Qui è pacato, maturo, e c'è probabilmente della rabbia vera nel momento in cui Matt, sentendo la suocera che sparla di lui, decide di dimostrare che hanno tutti torto per quanto riguarda la loro percezione di chi lui sia come persona. Ma al netto di quella maturità recitativa non rimane molto, cosa che forse ha intuito anche la Sony nel momento in cui ha deciso di vendere il progetto a Netflix. Il che, paradossalmente, potrebbe giovare maggiormente al protagonista, dandogli una visibilità che gli possa consentire di continuare su questa strada, con materiale più solido.
Conclusioni
Chiudiamo la recensione di Un padre, sottolineando come si tratti di una commedia drammatica le cui buone intenzioni non possono compensare una struttura trita e ritrita, fuori tempo massimo. Notevole però la performance di Kevin Hart, più maturo del solito.
Perché ci piace
- Kevin Hart è sorprendente in un ruolo più serio e maturo.
- La storia vera su cui si basa il film genera alcuni momenti emotivamente forti.
Cosa non va
- La struttura comica vacilla dall'inizio alla fine.
- La trama e la regia sanno di progetto che doveva uscire una decina d'anni fa.