Un nero senza fine
King David, carismatico criminale di colore, torna nella sua città di origine dopo anni di scorribande; l'uomo è in cerca di redenzione ed è deciso a dare un taglio al suo passato malavitoso. Una vecchio "conto" rimasto in sospeso, tuttavia, risulta fatale per l'ex gangster, che viene ucciso da un suo vecchio conoscente; poco prima di morire, King David consegna delle cassette all'uomo che aveva cercato di salvarlo, il giornalista Paul: ascoltando queste ultime, Paul ricostruisce l'affascinante e violenta vita di questo singolare capobanda.
Già direttore della fotografia per Spike Lee, e regista dedito soprattutto alla televisione, Ernest R. Dickerson adatta qui un romanzo dell'afroamericano Donald Goines, autore "di strada" popolarissimo nei ghetti neri; questo Never Die Alone è un noir che occhieggia alla blaxploitation, in cui troviamo i temi della violenza, della morte e della redenzione da sempre cari al genere filtrati attraverso l'ottica iconoclasta propria dell'autore della storia originale. L'epica figura del protagonista, e la sua parabola nello spietato mondo della malavita di colore, sono rappresentate con un cupo realismo, e vedono al centro un DMX sufficientemente a suo agio nel ruolo; quello che, tuttavia, non riesce a convincere del tutto è la struttura della narrazione, in cui l'alternanza tra la traccia principale, che troviamo narrata soprattutto nella prima parte, e i flashback del passato del protagonista, preponderanti nella seconda, risulta poco organica e mancante di equlibrio; con una gestione diversa dei due "piani" narrativi, l'insieme ne avrebbe sicuramente guadagnato in compattezza.
Nonostante questo, il taglio nervoso e realistico della regia, il convincente clima di disperazione urbana rappresentato, e la notevole fotografia (sgranata e quasi documentaristica, con tonalità sature ed estremamente cupe), donano al film un fascino indiscutibile, per quanto, in qualche modo, irrisolto, sia a livello estetico che di contenuti. Il tormentato cammino verso la redenzione del protagonista, infarcito di citazioni bibliche unite ad altre più "profane" (James Brown, la teoria del karma), è aperto e chiuso da un curioso (per quanto non nuovo) uso della voce fuori campo, che fa parlare il gangster dopo morto: una scelta che in qualche modo ribadisce l'afflato "spirituale" della storia, oltre ad anticipare una svolta narrativa che rappresenterà il cuore tematico dell'intero film. Alla luce del fascino del soggetto e della bontà della realizzazione tecnica, si può dunque perdonare al film una sceneggiatura incerta, che se da un lato mette molta carne al fuoco (l'inferno della strada e la redenzione, i drammi familiari, i codici morali della malavita), dall'altro non riesce sempre a sviluppare a dovere questi temi, peccando sul piano della pura e semplice narrazione. Comunque, un tentativo di noir all black a cui vale la pena dare una possibilità, nello scarno panorama delle uscite estive.
Movieplayer.it
3.0/5