"Ho sempre pensato che il cinema sia capace di condurre le persone a nuove scoperte" dice Tsui Hark mentre riceve il Gelso d'Oro alla Carriera al Far East Film Festival 27. Nulla di più vero, considerata la sua vasta e ricchissima carriera che spaziando tra commedie storiche, saghe di valorosi eroi e cinema di arti marziali, ha saputo dare forma ai sogni di un bambino venuto dal Vietnam e formatosi in Texas.

Così il maestro di Hong Kong ha contribuito a costruire mondi e creature straordinarie e a delineare un immaginario che sarebbe stato la base della New Wave hongkonghese degli anni '80. A Udine è il protagonista di una lunga chiacchierata che diventa l'occasione per ripercorrerne il cammino a partire da Shanghai Blues, film del 1984 proiettato al festival nella sua versione restaurata.
Gli esordi
"New wave? - esordisce Tsui Hark quando gli chiedono se si rendesse conto all'epoca di stare per fondare un nuovo movimento - Non sono neanche sicuro di cosa significhi, non avevamo una filosofia o una teoria precisa, cercavamo solo di farci strada nel mercato cinematografico di allora. Negli anni settanta quando lavoravo alla tv eravamo parecchi giovani registi animati semplicemente dall'entusiasmo di fare qualcosa. In quel periodo l'industria cinematografica non stava attraversando un periodo molto buono". La svolta arriva nel 1984 quando insieme a Nansun Shi fondò la società di produzione Film Workshop, il cui primo titolo fu proprio Shanghai Blues. Di quel periodo ricorda "l'entusiasmo e le grandi speranze nello sviluppo del mercato", ma quello fu anche l'anno in cui "pensavo di andare in pensione. Mi resi conto che avevo fatto un sacco di film raccontando più o meno le stesse storie, le stesse ambientazioni, gli stessi personaggi e pensai che forse era tempo di ritirarmi. Nello stesso tempo però mi giravano in testa tante storie, che mi venivano raccontate dagli amici e dalla gente con cui parlavo".

Fu in questo contesto che nacque Shanghai Blues, "una storia per me completamente nuova, che non era il mio genere. Mi sentivo quasi a disagio, non era il mio territorio, era un terreno sconosciuto, ma gli investitori volevano che alla regia ci fossi io, quindi mi convinsi che dovevo farlo. Avevo due sfide importanti davanti a me: la prima è che in questo film non c'erano combattimenti, né lotte, non c'erano battaglie o comunque ce n'erano molte poche. La seconda è che bisognava partire, andarsene dalla propria terra. Si parla di molti anni prima del 1997 quando andarsene da Hong Kong portava con sé molta incertezza, non si sapeva se si sarebbe potuti tornare o meno da dove si era partiti".
Le figure femminili, l'Occidente e l'industria cinematografica a Hong Kong

A caratterizzare le sue storie è soprattutto l'attenzione ai personaggi femminili determinate e argute: "Faccio del mio meglio per dare risalto anche alle figure maschili, ma forse la questione è che semplicemente le attrici sanno recitare meglio degli attori", confessa ironicamente il regista che in Occidente si è guadagnato l'appellativo de "lo Spielberg d'Oriente". L'espressione non lo ha mai trovato d'accordo: "Credo sia ingiusta per lui e per me. Ci sarebbe da discutere su chi dei due ci perda e chi invece ci guadagni", scherza.
Artista, produttore, attore, sceneggiatore e regista, nei suoi film Tsui Hark ha spesso ricoperto molteplici ruoli, facendo di necessità virtù: "Il punto è che l'industria cinematografica a Hong Kong è molto limitata quindi coprire molti ruoli è una questione di giocoforza: se mi guardo attorno non ci sono tanti produttori, per cui ricoprire più ruoli contemporaneamente è una necessità. Lo stesso succede ad esempio anche a Taiwan, il 60% cento dei produttori fanno anche i registi o gli attori, è il nostro destino". Una tendenza già iniziata con le generazioni precedenti, alle quali il regista è molto grato: "I nostri predecessori erano molto bravi a farlo - sottolinea - Scrivevano, si occupavano della regia, provvedevano alle musiche, facevano praticamente tutto. Non possiamo che inchinarci al loro talento, è stata una fortuna avere questa generazione di cineasti, da loro ho imparato molto. La loro esperienza è stata preziosa per noi".
La parentesi hollywoodiana
Nel 1997 arriva l'esperienza americana a Hollywood, per poi tornare nuovamente in patria: _"Hollywood mi ha insegnato la flessibilità, mi sono reso conto che quei film erano il frutto della collaborazione fra persone di tutto il mondo e con varie esperienze cinematografiche. Per noi, che eravamo abituati invece a rimanere sempre nella nostra cerchia, è stata un'esperienza molto importante e diversa anche dal punto di vista degli orari di lavoro: si lavorava meno, c'erano i weekend liberi nei quali potevamo andare in giro a visitare la città o a guardare film.

A Hong Kong si lavora invece da pazzi notte e giorno, si è completamente immersi nel proprio lavoro". Il secondo film hollywoodiano fu girato a Hong Kong, una contaminazione interessante che "mi ha fatto capire che ciascuno appartiene alla propria cultura e il modo di fare film riflette profondamente la nostra cultura e ci fa capire le nostre differenze. Penso che i cineasti non debbano essere confinati a un unico paese o a una sola area geografica, il mondo è grande, i film sono fatti per tutti, appartengono al mondo e un vero regista deve essere in grado di lavorare a livello internazionale animato sempre dalla curiosità di vedere come si fanno le cose in altri posti"_.
Legends of the Condor Heroes: The Gallants e il fascino per le arti marziali

L'ultimo lavoro, Legends of the Condor Heroes: The Gallants, è la trasposizione di uno dei romanzi popolari più celebri della letteratura cinese, Condor Heroes, del prolifico Louis Cha. Un adattamento con cui Tsui Hark rivitalizza il genere wuxia, condensando in 147 minuti un immaginario vastissimo fatto di leggende, campi di battaglia, romanticismo e intrepidi guerrieri. "Il mio amore per le arti marziali nasce sin da bambino quando andavo al cinema e guardavo quei film, li assorbivo quasi, erano una vera meraviglia. - racconta - Quando ho avuto la possibilità mi sono quindi rivolto a questo genere, l'ho fatto per la prima volta con una serie TV basata sui romanzi di Louis Cha che per qualche motivo attirò l'attenzione di molti, fece rumore. Andammo a girare in Corea, cosa abbastanza assurda e strana per delle storie tratte dai racconti di Louis Cha; ma la cosa più comica fu che una volta sul set mi chiesero chi fosse il coreografo, nessuno ci aveva mai pensato per girare delle scene d'azione e in quel momento mi resi conto che l'unico che poteva farlo ero proprio, ma non ne sapevo molto, non avevo mai fatto arti marziali e quindi mi rivolsi con grande timore agli attori stessi e gli chiesi: 'Qualcuno di voi sa come si fanno queste cose?'".

Legends of the Condor Heroes: The Gallants è il suo modo di "rendere omaggio ai maestri del genere chi mi avevano preceduto. I romanzi di Louis Cha erano molto di moda quando ero giovane, ne leggevo tantissimi per non restare indietro, li divoravo. Quando mi è stata data l'opportunità di farci addirittura un film, ho scelto uno dei suoi titolo più iconici. Lavorare a questo film è stato come rivivere gli anni della mia infanzia", ma con uno sguardo alla contemporaneità: "nell' ultima parte del film risalta un messaggio di pace. Credo sia il tema principale, in questo genere di storie si parla spesso di guerra, di vendetta, dell'eroe che cerca sempre di essere il migliore. Ho pensato invece che arrivare alla pace sia il messaggio più giusto e adatto ai tempi di caos che viviamo oggi".
Il futuro? Un progetto ancora in fase di discussione con Sylvia Chang, che tornerebbe a lavorare con lui quarant'anni dopo Shanghai Blues. Intanto Tsui hark continua a sognare e, ci fa sapere, se gli chiedessero di fare il remake di un film italiano, sceglierebbe senza alcun dubbio Satyricon.