Nello sterminato programma del Berlino Film Festival può capitare di imbattersi in chicche che rischiano di sfuggire all'attenzione del grande pubblico. Una di queste è The Cold Lands, pellicola indie americana presentata in anteprima assoluta nella sezione Generation. Il film, che racconta la storia di un ragazzino rimasto solo dopo aver perso la madre a causa di una grave malattia, è scritto e diretto da Tom Gilroy. Il grande pubblico lo ha conosciuto in veste di attore in Terra e libertà e Bread and Roses di Ken Loach e in numerose partecipazioni in popolari serie tv, ma Gilroy è anche uno scrittore, un regista e un intellettuale. La sua visione del cinema è profonda, attenta al quotidiano e capace di mescolare lirismo e riflessione sociale. Non per nulla il suo amico fraterno è un certo Michael Stipe, leader dei REM, giunto a Berlino in punta di piedi per supportare Gilroy e naturalmente assistere all'anteprima mondiale di The Cold Lands. Il film, interpretato da Lili Taylor, Peter Scanavino e dall'esordiente Silas Yelich, ha avuto una genesi piuttosto particolare, come ci racconta lo stesso Gilroy nel corso di un lunga chiacchierata in un hotel della capitale tedesca.
The Cold Lands è un film intimo, familiare. Perché hai sentito la necessità di raccontare questa storia?
Tom Gilroy: La storia è nata in modo organico e si è formata nella mia mente per immagini e sogni. Poi ho cominciato a scriverla per riordinare le idee e dar loro una forma ne ho tratto una sceneggiatura. A quel punto mi sono posto il problema di cosa farne, ma alla base della storia non c'è la volontà di dire qualcosa di preciso. Ovviamente dietro ogni opera d'arte c'è sempre il pensiero dell'autore che contiene la sua visione politica, la sua filosofia, la sua idea del sesso, ma io ho cercato di focalizzare la mia attenzione sul protagonista della storia che è un ragazzino.
No. Alla base di tutto c'erano due elementi per me essenziali. Volevo fare un film su un bambino che perde un genitore. A undici anni non esiste niente di peggio perché i genitori rappresentano il tuo mondo. Da piccoli non ci rendiamo conto del valore delle cose perché siamo concentrati sui nostri bisogni e sui nostri giochi e abbiamo una scarsa percezione del mondo esterno. Io volevo fotografare quel momento di passaggio in cui il bambino comincia a comprendere il valore della madre e proprio quando ne percepisce la vicinanza lei viene a mancare. Per questo ho deciso di farla riapparire come una specie di fantasma, perché il legame tra madre e figlio è talmente profondo da superare la morte. Il secondo elemento che volevo inserire era una figura di genitore surrogato, che in questo caso è Carter, una specie di hippie che vive allo sbando e che a un certo punto si imbatte Atticus. Per alcuni questo incontro è una disgrazia nella disgrazia, perché Carter non si conforma ai valori del perbenismo americano, per altri è la cosa migliore che possa accadere ad Atticus. Lui stesso non è il bambino perfetto, a volte risulta irritante e scortese. Non volevo fare un film hollywoodiano in cui troviamo il bambino perfetto, sempre brillante, gentile e simpatico. Volevo raccontare una storia che risultasse autentica.
Perché Atticus e la madre vivono isolati e rifiutano l'aiuto della comunità?
Nella società americana sopravvive questa concezione dell'autosufficienza. Devi farcela da solo perché nessuno ti può aiutare. Credo che questa idea sia stata strumentalizzata dai ricchi per manipolare la mente del resto del paese convincendo le persone a non chiedere aiuto, a non chiedere soldi. La società europea, che è molto più antica, ha dimostrato che l'autosufficienza non funziona. In America però sussiste una fascia di popolazione che crede fermamente nel rifiuto della società. Sono le persone ultraconservatrici di estrema destra, fascisti, sostenitori dell'uso delle armi, ma sono anche i gay o gli hippie che rifiutano le convenzioni sociali, il corporativismo, la televisione e sostengono la necessità di prodursi da soli il proprio cibo. Tutto questo può andar bene fino a un certo punto perché viviamo comunque in una comunità e non possiamo sopravvivere da soli in nessuna parte del mondo.
Il nome del protagonista, Atticus, è un omaggio a Il buio oltre la siepe di Harper Lee?
Non è solo un omaggio. Ho inserito questo riferimento per due ragioni. La prima è che volevo contestualizzare il film all'interno del continuum della cultura americana. The Cold Lands è girato nella Hudson Valley. Qui si è sviluppata una corrente pittorica nota come Hudson Valley Paintry che ripropone i paesaggi naturali che vedete anche nel film. In più volevo dimostrare che la amdre non è una persona ignorante. Anche se rifiuta di integrarsi nella società e cresce il figlio in modo eccentrico è una persona che conosce la letteratura e ha un'idea precisa del futuro che progetta per il figlio. Sono contento del fatto che gli italiani siano i più attenti ad aver notato il riferimento nel nome del ragazzo. Di sicuro se ne accorti più degli americani.
Volevo raggiungere un punto in cui il pubblico non capisce più se ciò che stiamo vedendo è reale o una semplice fantasia. Sicuramente il riferimento alle fiabe è presente perché Atticus, rimasto solo, usa la fantasia per superare la paura e il dolore. Per caso prima di iniziare a girare il film ho letto I fioretti di San Francesco d'Assisi, che contiene aspetti favolistici e mi è rimasta impressa l'immagine degli animali che vanno da Francesco. In parte l'ho inserita anche nel film. Anche Atticus incrocia diversi animali sul suo cammino e per lui rappresentano una specie di guida.
Perché il film si apre con l'immagine di un pavone?
Volevo aprire The Cold Lands con qualcosa di bello. E' una sorta di prefazione alla storia. Potrebbe essere un'introduzione, una metafora di Atticus o degli Stati Uniti, ma ciò che voglio trasmettere al pubblico è l'idea che il film parli di bellezza e di innocenza.
La natura è parte integrante della storia.
Il film è girato vicino a casa e anche l'attore che interpreta Atticus vive poco distante da me. La valle dell'Hudson è una regione verdeggiante, piena di foreste, d'acqua, ognuno ha animali in casa perciò era inevitabile integrare tutto questo nel film.
Come hai convinto Lily Taylor a partecipare al progetto?
Lily per me è come una sorella. Ci conosciamo da venticinque anni e insieme abbiamo messo su una compagnia teatrale a New York. Tutti gli attori presenti nel film, a esclusione del protagonista Silas Yelich e di Peter Scanavino, fanno parte della compagnia. Lily vive nella via accanto alla mia e ci vediamo spesso così le ho parlato di questo progetto e lei si è proposta per interpretare la madre. Quando abbiamo dato il via alle riprese Lily è venuta con me in montagna e ha incontrato Silas per sviluppare un rapporto con lui.
E invece come hai scelto Silas Yelich?
Sapevo già di voler utilizzare un ragazzino delle mie parti, non un bambino di New York che fingesse perchè il film è quasi privo di dialoghi e il comportamento è fondamentale. Ho incontrato molti bambini della mia zona che avevano esperienze nella recitazione, ma non erano adatti. Poi sono andato a vedere le prove di rappresentazione teatrale nella chiesa della mia cittadina. La protagonista era la sorella gemella di Silas, che è un'attrice bravissima. Silas era nel coro e l'ho notato perché mi ricordava moltissimo River Phoenix da piccolo. Siamo diventati amici e nel corso di un anno gli ho insegnato le cose che servivano per il film, ma no so se continuerà a recitare. Non rientra nei suoi progetti futuri. Ha accettato di fare il mio film soprattutto per curiosità.
Non avevo in mente modelli cinematografici precisi, ma mi sono ispirato ad alcuni pittori tra cui Edward Hopper. Avendo pochi soldi a disposizione non potevamo fare grandi movimenti di macchina quindi ho privilegiato inquadrature statiche. Ma i modelli visivi non erano la mia principale preoccupazione, visto che ho preferito concentrarmi sul contenuto. Ho avuto la fortuna di lavorare con autori come Ken Loach, Jean-Luc Godard, Sidney Lumet, ma non ho pensato ai loro film perché volevo creare qualcosa di personale.
Per Ken Loach hai recitato in Terra e libertà e Bread and Roses. Cosa ti ha lasciato quest'esperienza?
L'incontro con Ken Loach è la cosa più importante che mi è accaduta nel corso della mia vita adulta. Quando l'ho incontrato la mia concezione di cinema è cambiata completamente, ha avuto un'influenza enorme sul mio modo di girare.
Ken è anche un artista politicamente schierato. Anche tu, insieme al tuo amico Michael Stipe, hai firmato un saggio in difesa dei diritti degli omosessuali. Cosa pensi del valore sociale e politico dell'arte?
In America c'è una corrente che ritiene che l'arte debba essere separata dalla politica, ma ciò non è possibile. Soprattutto in una società che ti costringe a prendere posizione riguardo a questioni sociali, religiose, personali. Se produci qualcosa in modo spontaneo tutto questo emerge naturalmente. In America c'è una grossa fetta di popolazione che ha votato per Obama, ma è delusa perché lui non è riuscito a mantenere molte delle promesse fatte. Nonostante ciò l'unica alternativa era votare per Obama perché Romney è un incubo, un clown. Credo che i Rem, in America, siano un ottimo di esempio di come l'arte che sgorga dal cuore divenga naturalmente politica senza sovrastrutture.
Quali sono i tuoi progetti futuri? Stai scrivendo un altro film?
Al momento ne sto scrivendo tre. Devo capire quale di questi prenderà vita. La mia fidanzata è un'esperta in storia degli ordini monastici medievali e delle suore perciò una delle storie riguarda un convento moderno. Un altro dei progetti è legato al sonno, ma devo ancora capire quale di questi film otterrà i finanziamenti. E poi c'è The Cold Lands che ha appena iniziato il suo cammino qui a Berlino.