Dalle verdeggianti foreste nordamericane al poetico mar Tirreno. Dalla desolante Atlanta al colorato caos del Comicon. "Vedi Napoli, e poi muori". Per una volta mettiamo da parte il romanticismo, perché se sei un attore di The Walking Dead, la celebre frase sulla bellezza partenopea si trasforma subito in un pesante spoiler, soprattutto se sei tra gli undici personaggi in ginocchio davanti a Negan. E in effetti, "vedere Napoli" sul logo del Comicon serve ad orientarsi, a non confondersi con la manifestazione omonima di San Diego; perché tutto fa pensare di essere negli Stati Uniti: un auditorium gremito, un entusiasmo collettivo più contagioso di uno zombie, e la possibilità di avere davanti agli occhi un grande attore con cui parlare e scherzare. Tra curiosità e passione il Comicon di Napoli ospita un Michael Cudlitz divertente e divertito, a cui piace giocare con le aspettative e i timori del pubblico in sala, un attore che sembra subito tradire il suo celebre personaggio di The Walking Dead.
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Se Abraham è un uomo provato dalla vita, duro e orgoglioso, Cudlitz appare morbido e accessibile, dotato di grande simpatia e soprattutto empatia nei confronti degli spettatori. Subito dopo un video-tributo sulla folta fandom della serie creata da Robert Kirkman, il nostro direttore Luca Liguori e Andrea Ciccarelli, direttore della casa editrice SaldaPress, salgono sul palco, pronti a intervistare un Cudlitz accolto da urla, applausi ed esaltazione. Vederlo senza canottiera sudata e senza quell'espressione severa crea un attimo di straniamento, perché il buon Michael si presenta con berretto e maglia larga, ma non senza l'immancabile baffone rossiccio che lo contraddistingue. Quello non si taglia, quello non si toglie, nemmeno con una mazza da baseball ferrata.
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Vite appese a un filo (spinato)
Impossibile non partire dalla fine. Inevitabile chiedere subito a Cudlitz chi sia, secondo lui, la vittima della folle vendetta di Negan. La folla per una volta incita in coro allo "spoiler", e la risposta fa subito capire lo spirito di Michael: "La piccola Judith. Non vi piace l'idea?". Battute a parte, l'attore difende e motiva la scelta del violento cliffhanger finale: "In realtà nessuno sa chi sia stato ucciso da Negan. Tutti noi, attori e spettatori, sapevamo che sarebbe morto qualcuno. Abbiamo creato questa grande aspettativa e poi vi abbiamo tolto la parte finale. Ecco, credo che questo sia stato fondamentale per spingere il pubblico a pensare e a confrontarsi. Se ci pensate ognuno di noi ha sviluppato la propria teoria, alcuni hanno cambiato idea, c'è chi spera e chi già si dispiace. Insomma, è un finale di cui andiamo fieri perché coinvolge lo spettatore e scuote emotivamente. E poi, diciamo la verità, era da troppo tempo che non moriva un personaggio importante. Per cui, sì, vi abbiamo fregato, ma una cosa è certa: Negan ci strapperà il cuore".
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La tensione "conta"
L'ultimo quarto d'ora della sesta stagione di The Walking Dead è un denso concentrato di tensione e ansia. Uno stato d'animo vissuto in primis dagli attori sul set e restituito sullo schermo anche grazie ad un fondamentale senso di spaesamento avvertito da tutto il cast: "La sceneggiatura di quell'episodio era incredibile, perché già a partire dello script si percepiva l'agitazione sempre crescente dovuta alle tante trappole create dal gruppo di Negan. La scena finale poi ha spinto ognuno di noi a dare il meglio di sé. Il fatto che nessuno degli interpreti sapesse il nome della vittima ha creato un disorientamento utile per la recitazione. Non sapevamo chi fosse inquadrato dalle trenta camere presenti sul set, per cui noi eravamo costretti a mantenere vive e costanti le nostre emozioni. Per 20 minuti tutti dovevano far trasparire il proprio atteggiamento davanti alla prospettiva della morte, ad esempio Abraham è l'unico che guarda in faccia Negan con aria di sfida, dimostrandosi pronto a morire. Sono state due notti di riprese davvero dure, ma l'esperienza si è dimostrata incredibile, perché quella conta finale rimarrà nella storia della televisione".
Essere Negan
Lo abbiamo definito simpatico ed empatico, perché capace di (far) sorridere e di mettersi nei panni degli altri. Così Cudlitz rende merito alla grande prova attoriale di Jeffrey Dean Morgan: "La sua è stata una prova eccezionale. Fateci caso: il suo personaggio era atteso da tutti, ma per un attore esordire in una serie con una storia così lunga non è facile. Irrompere nello show con un personaggio così importante è stata un'impresa che Jeffrey ha superato alla grande. Aveva un monologo lungo 18 pagine di sceneggiatura, ha parlato per quasi 20 minuti, ed è arrivato sul set solo per girare quella scena, visto che poi è tornato sul set di The Good Wife. Amo quell'attore da molto tempo, ed ero eccitato all'idea di poterci lavorare assieme. Tra l'altro lui ha ammesso di essere stato colpito dalla carica emotiva presente nella scena finale. Quando ci ha trovato lì, in ginocchio e in semicerchio davanti a lui, era impossibile non farsi coinvolgere da quella situazione estrema. Jeffrey ha colto il nostro legame, la nostra partecipazione, e ha ammesso di essere stato scosso soprattutto dal momento in cui Maggie si trova ai suoi piedi". Il fascino di Negan è forte e Cudlitz ne sembra davvero affascinato, così il nostro Luca Liguori chiede se gli sarebbe piaciuto interpretare quel personaggio estremo. La risposta, invece, è "alla Abraham", ovvero sintetica e pragmatica: "Sì".
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Io sono un fan
Cosplayer in sala, appassionati che richiedono e ricevono autografi su action figure. Cudlitz appare a suo agio e pienamente travolto dal fenomeno The Walking Dead, tanto da dichiararsi subito un fan spudorato della creatura di Kirkman: "Amo la serie e amo il fumetto, che è una sorta di mappa geografica in cui è ambientato lo show. Sono entrato nel cast in un momento particolare, perché Scott M. Gimple ci teneva a riportare la serie sui binari del graphic novel. Così in quanto Abraham, Eugene e Rosita siamo stati investiti di questo compito, di questa grande responsabilità. Per noi attori questi personaggi sono una sfida costante da affrontare perché nel fumetto risultano iconici, esasperati e larger than life. A noi, invece, tocca mantenere i piedi per terra nella storia, dare umanità alle loro vite e infondere realismo. Grazie al nostro lavoro questi personaggi fuoriescono dalle tavole del fumetto per camminare con le loro gambe". In quanto fan, non poteva mancare uno sguardo nostalgico ai personaggi scomparsi: "I due personaggi di cui mi sento orfano sono Hershel e Shane.
Tutti amavamo il primo e tutti amavamo odiare il secondo, mentre devo ammettere che nella serie, secondo me, sono tutti innamorati di Rosita, Eugene soprattutto". Infine, mentre qualche fan si commuove e altri espongono strambe teorie sul finale, Cudlitz si lascia andare ad una lettura morale su The Walking Dead: "Sono fortunato ad essere parte di questo fenomeno mondiale; è qualcosa di incredibile e con un seguito mai visto prima nella mia carriera. Questa serie parla di umanità attraverso un vero e proprio esperimento sociologico che ti fa porre delle domande. Dopo aver perso tutto, da dove ripartiresti? Per cosa moriresti? Per chi uccideresti? Ecco, The Walking Dead definisce che tipo di persona sei in una situazione estrema. Ma allo stesso tempo è una storia di speranza che parla di famiglia, non come legame di sangue, ma come microcosmo di persone che condividono amore. Ma una cosa è certa: al di là degli zombie, l'uomo è il mostro peggiore che tu possa incontrare". È la chiusura perfetta di un attore appassionato, sopravvissuto alla vista di Napoli e anche alla maledetta Lucille. Forse sì, o forse no. Ottobre è lontanissimo.
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