Parigi, anni Trenta. Malgrado le proteste di chi lo ritiene uno spettacolo oltraggioso, il teatro del Grand Guignol gode di un notevole successo di pubblico grazie alle sue rappresentazioni molto macabre. Particolarmente popolare è l'attrice Paula Maxa (Anna Mouglalis), detta anche The Most Assassinated Woman in the World, la donna più assassinata del mondo, che ogni sera muore sul palco in modi diversi e altamente truculenti. In quello che è il primo lungometraggio di finzione di Franck Ribière, prodotto da Netflix, mentre la protagonista si esibisce davanti al pubblico, le strade della capitale francese vengono decorate col sangue delle vittime - tutte donne - di un efferato serial killer, il quale sembra ossessionato da Paula. Con l'aiuto del giornalista Jean, la diva del Grand Guignol cerca di scoprire la verità sui delitti, prima che l'assassino riesca a farla morire per davvero...
Leggi anche: Chi ha bisogno della sala? Netflix e il nuovo destino degli aspiranti blockbuster
Streaming di genere
Lo scorso 9 luglio, in occasione della proiezione fuori concorso al Festival di Neuchâtel, il regista Franck Ribière ha presentato il suo film The Most Assassinated Woman in the World alludendo a una storia produttiva complicata, di cui si sarebbe poi potuto parlare approfonditamente durante il Q&A al termine dello screening. Il motivo di tale giro di parole è divenuto evidente appena è iniziato il film, preceduto dal logo di Netflix. Un segnale importante per quanto concerne le produzioni francesi (sebbene i finanziamenti del film di Ribière provengano principalmente dal Belgio), dato il rapporto complicato tra la società di streaming e il paese di Truffaut, arrivato a un punto critico quest'anno quando il Festival di Cannes ha ufficialmente vietato l'accesso alle sezioni competitive per i film che non usciranno in sala sul territorio transalpino (la legge francese prevede che passino tre anni fra l'uscita in sala e la presenza su Netflix, condizione ritenuta inaccettabile dal gigante californiano). Già nei mesi scorsi c'è stato il primo lungometraggio originale della piattaforma in lingua francese (la commedia I Am Not an Easy Man), e nel caso specifico di The Most Assassinated Woman in the World, come ha sottolineato Ribière, Netflix è stato un'ancora di salvezza, dato che nessuno in Francia voleva produrre il film (e a livello di uscita sarebbe arrivato, nel migliore dei casi, in una manciata di sale, mentre all'estero era più probabile il circuito festivaliero e video on demand).
La soluzione scelta dal cineasta consente al suo lungometraggio di arrivare al pubblico su scala globale, dando ai cinefili appassionati del macabro la possibilità di gustarsi un prodotto elegante e al contempo consapevole della propria dimensione sanguinolenta all'insegna dello spettacolo e del divertimento. Un divertimento che parte da elementi reali, nella fattispecie la vera fama di Paula Maxa, per rendere omaggio a un fenomeno d'altri tempi che continua ad esercitare un fascino notevole su chi si cimenta con il fantastico nella sua forma più cruenta (basti pensare, tra gli esempi più recenti, a Sweeney Todd - Il diabolico barbiere di Fleet Street di Tim Burton). Ad una trama gialla abbastanza elementare - chiunque abbia un minimo di familiarità con il genere potrà intuire facilmente l'identità dell'antagonista - si sovrappone una riflessione più profonda sulla qualità ipnotica del sangue e della morte. Siamo negli anni Trenta, ma il discorso è altrettanto valido oggi, e il film si (e ci) interroga su quella pulsione che spinge a recarsi in una sala oscura - teatro prima, cinema poi - per vivere emozioni forti dinanzi a momenti di tensione e uccisioni di vario genere. Il caso vuole anche che The Most Assassinated Woman in the World sia disponibile su Netflix il giorno dopo l'uscita italiana di Revenge, un'altra produzione di matrice francese che si rifà ad una tradizione di genere ad alto contenuto ematico. Due film diversi negli intenti e nell'esecuzione, ma altrettanto interessanti per meditare sul fascino che l'horror, in tutte le sue forme, continua ad esercitare su tutti noi.
Leggi anche: Recensione Revenge: le donne si impossessano del sottogenere horror, con risultati spettacolari
Vivere e morire sul palco
In mezzo al liquido rosso la carica emotiva del racconto è tutta sulle spalle e sul volto di Anna Mouglalis, nota in Italia per la sua partecipazione a film come Romanzo criminale e qui protagonista assoluta alle prese con il duplice ruolo di donna presa di mira da uno psicopatico (elemento che non passa inosservato ai giorni nostri) e di attrice, esibendo varie sfaccettature della propria personalità scenica con grazia, humour e pathos. Attorno a lei è allestito un doppio impianto scenografico, nella finzione narrativa e nella costruzione del film stesso, che la rende una presenza tangibile e al contempo quasi irreale, fondendo l'immaginario macabro del Grand Guignol e le vere, riconoscibili difficoltà affrontate dalle donne nel mondo dello spettacolo, allora come oggi prevalentemente in mano agli uomini. Questo fa di The Most Assassinated Woman in the World, nel suo piccolo, un progetto molto attuale, per quanto dotato di una gradevole atemporalità, ed è giusto che il pubblico lo veda senza doversi affidare alle incertezze di una distribuzione tradizionale che, con titoli di questo tipo, è sempre di più un'incognita.
Movieplayer.it
3.5/5