Che lo ammiriate o detestiate cordialmente, il dato di fatto è che il co-CEO di Netflix Ted Sarandos è stato uno dei principali registi dietro al boom dello streaming e al conseguente cambio di paradigma di alcune dinamiche hollywoodiane rimaste quasi immutate nella secolare storia dell'industria del cinema americano. Quello che Ted Sarandos, tramite Netflix, è riuscito a fare è paragonabile a quelle scosse sistemiche verificatesi in altri settori, come ad esempio quello videoludico e tecnologico, con il rivoluzionario operato di marchi come Nintendo, Sony PlayStation o Apple. Chiamatela scaltrezza imprenditoriale, capacità di anticipare le necessità dei consumatori o spregiudicatezza. Fatto sta che l'equazione streaming=Netflix è ormai ben consolidata nella testa della gente, così come negli anni '80 i videogiochi erano automaticamente "il Nintendo" o nella seconda metà degli anni '90 "la PlayStation".

Il dominio di Netflix in questo settore si è reso possibile attraverso delle strategie rivoluzionarie e aggressive (contestate da più parti) che sembrano aver cambiato il modo in cui guardiamo i film e le serie TV e minato le basi dell'esperienza e di un mercato, quello theatrical, dal quale la compagnia si tiene e si terrà sempre al di fuori. Nulla di così scontato per una start-up fondata nel 1997 da Marc Randolph e Reed Hastings che aveva, come core business, il noleggio via posta di DVD. È storia nota che i due, nel 2000, provarono a venderla a Blockbuster per la ridicola cifra di 50 milioni di dollari. Per l'allora CEO di Blockbuster John Antioco, l'attività di Netflix era solo una nicchia e, nel periodo di massima frenesia commerciale intorno alle dot.com, spendere 50 milioni per quell'acquisizione sarebbe stata una follia.
25 anni dopo, Netflix ha una capitalizzazione di mercato pari a 410 miliardi di dollari e 300 milioni di abbonati. La rivoluzione attuata internamente prima ed esternamente poi da Netflix è stata la chiave della sua sopravvivenza e del suo prosperare. E nella lunga cover story che Variety ha dedicato al già citato Ted Sarandos, si è parlato di questo e di molto altro. Compreso il suo esordio come attore in una serie tv. Di un'azienda concorrente. Apple.
Il cameo in The Studio e il commento sulle strategie di Apple
Cominciamo proprio dal Ted Sarandos attore per Apple. Il dirigente è infatti una delle guest star in The Studio, la nuova serie di Seth Rogen ed Evan Goldberg in arrivo a partire dal 26 marzo su Apple TV+. Nello specifico, comparirà in una puntata ambientata durante la serata dei Golden Globes in cui si ritroverà faccia a faccia col personaggio interpretato da Rogen, il capo della Continental Pictures Matt Remick. Una proposta, quella di comparire nella produzione, che Ted Sarandos ha accettato senza battere ciglio.
"Ho detto subito di sì. Seth mi ha mandato lo script e l'ho trovato divertentissimo. Continuavo a chiedergli se fosse una versione esasperata di me". Racconta anche di aver dato del suo meglio per stare al passo di chi recita di professione: "Ero super concentrato, non volevo dimenticare le battute. Non volevo rallentare le riprese e far perdere soldi alla produzione".
Una frugalità quasi paradossale per uno dei più grandi "spendaccioni" di Hollywood. Più in avanti, nel corso della chiacchierata con il magazine, gli viene anche chiesto un commento su Apple e se la veda come una competitor. Ammette di non comprendere pienamente le strategie del colosso in materia di content: "Non la capisco, a parte come strategia di marketing. Ma sono persone davvero intelligenti. Forse vedono qualcosa che noi non vediamo".
Dal finale di Stranger Things al terzo Knives Out: un 2025 spettacolare per Netflix
Sarandos sa bene che il 2025 sarà un anno importantissimo per Netflix visto che in piattaforma arriveranno le nuove stagioni di tutte le sue serie di punta: la seconda di Mercoledì, quella finale di Stranger Things e l'epilogo di Squid Game. Ma c'è anche il cinema col nuovo Frankenstein firmato Guillermo del Toro, il terzo Knives Out di Rian Johnson e Jay Kelly, nuova opera firmata Noah Baumbach.

Parlando del finale di Stranger Things dice che sarà impossibile per il pubblico non piangere e quando gli viene chiesto se l'universo narrativo della serie ideata dai fratelli Duffer proseguirà in una qualche maniera, si concede una risposta sorniona e sibillina: "Credo che Stranger Things sia un universo gigantesco. Lo abbiamo constatato coi vari romanzi usciti, coi prodotti di merchandising, con lo spettacolo teatrale Stranger Things: The First Shadow, che sta avendo un enorme successo nel West End e arriverà anche a Broadway".
Il conflittuale accordo con Marvel Television
Spesso e volentieri, è House of Cards a essere ricordata come la svolta attuata da Netflix in ambito di produzioni esclusive per il piccolo schermo. Per Sarandos si tratta di una lettura erronea. L'accordo più importante siglato dalla compagnia, quello capace di insegnarle più cose sul funzionamento stesso del mondo dell'intrattenimento è stato quello con Marvel Television stipulato in un periodo in cui la Disney era ancora una semplice "venditrice di contenuti" a Netflix che, peraltro, non si preoccupava più di tanto di proporre al pubblico storie seriali per la TV che fossero in piena continuity con quello che succedeva al cinema nei film del Marvel Cinematic Universe.

Spiega Sarandos che "Il nostro contratto fatto con la Marvel nel 2013 è stato l'accordo più grande della storia della TV. Nessuno lo supererà mai. Cinque stagioni originali senza pilota, 13 episodi incredibilmente costosi per ogni serie su un singolo personaggio. Poi una stagione crossover. Ci ha insegnato molto sul business dell'intrattenimento". Gli interessi della Marvel non erano però totalmente allineati con quelli di Netflix cosa, questa, che ha reso più difficile il prosieguo della relazione a prescindere dalla chiusura della divisione Television di Marvel e dalla nascita di Disney+. Il colosso dello streaming puntava a fare i proverbiali "big money" facendo al contempo grande televisione mentre Marvel Television puntava al semplice risparmio. Posizioni inconciliabili.
L'Oscar mai vinto: quello per il miglior film
Negli ultimi anni, Netflix ha speso cifre inaudite per spingere le varie campagne For Your Consideration mirate ad incrementare la visibilità dei film proposti all'Academy. Ha ottenuto 168 nomination in totale, che hanno spaziato in 24 categorie, vincendo un totale di 26 statuette in 14 categorie.

Da dodici anni a questa parte, all'appello e malgrado gli sforzi, manca quella per il miglior film. Secondo molti, si tratta di una sorta di vendetta dell'Academy verso Netflix, ma Sarandos è di diverso avviso: "È difficile per me dire 'Ce l'hanno con Netflix' quando siamo stati lo studio più nominato negli ultimi tre anni. L'Academy è così: nomina i film rispettati e ammirati, ma a vincere come miglior film sono quelli più amati. Dobbiamo realizzare un film che le persone amino davvero".

Inutile piangere sul latte versato di Emilia Perez che pareva il grande favorito con 13 nomination, per poi veder crollare tutto per via del riemergere di alcuni vecchi controversi tweet di Karla Sofía Gascón. Sarandos si spinge anche a dire che non avrebbe problemi a rilavorare con l'attrice in futuro: "Bisogna avere un po' di comprensione quando le persone commettono errori, e noi ne abbiamo".
Lo storico accordo con Adam Sandler e quello con Christopher Nolan che non verrà mai fatto
Fra le tante rivoluzioni attuate da Netflix, c'è stata anche quella di attirare a sé, a suon di contratti multimilionari, un sacco di talent hollywoodiani e non solo. A fare da apripista c'è stato uno dei più famosi comedian statunitensi, Adam Sandler. Uno che in patria è sempre stato estremamente popolare, senza mai riuscire a sfondare davvero fuori dai confini USA. È stato lui il primo Big Name di Hollywood a firmare un accordo di esclusiva con il colosso dello streaming.

Ripensando alla cosa, Sarandos spiega che Pixels, pellicola con Sandler che non andò benissimo negli USA, ma decisamente meglio a livello internazionale, fu la scintilla che gli fece venire in mente l'operazione. "Cercavo qualcosa di nuovo" dice a Variety "quindi gli ho chiesto di parlare. Era disponibile al tentativo, gli ho detto che avremmo fatto i film che voleva e che li avremmo portati al pubblico giusto. Abbiamo entrambi creduto nell'accordo". E Adam Sandler è finito per ottenere quella visibilità internazionale che 20 anni di commedie non gli avevano mai donato: "Ricordo che, dopo l'uscita di The Ridiculous 6, mi disse che sarebbe andato in vacanza in Europa. Pensavo che venisse assediato dai fan ovunque, ma lui rispose: 'In Europa non sono così famoso'. Dopo i film su Netflix, viene assediato ovunque nel mondo".
In mezzo ai tanti talenti che Netflix ha attirato a sé, c'è qualcuno che la compagnia, stando alle indiscrezioni, corteggia a vuoto da anni e anni: Christopher Nolan. A meno di non vedere la multinazionale capitolare di fronte a una finestra theatrical di 90 giorni seguita da tutti i tipici step della distribuzione di un film (noleggio digital, vendita home video digital e fisica e poi sfruttamento televisivo) è impensabile pensare di vedere il sovrano indiscusso dell'esperienza theatrical collaborare con Netflix. Ciò non toglie nulla al fatto che ci sia un buon rapporto fra Sarandos e il regista: "Parlo spesso con Chris. Abbiamo un ottimo rapporto e rispetto il suo desiderio di fare film per il cinema".