Ce la siamo presa comoda nello scrivere la recensione di Stray con la nostra consueta attenzione alla componente cinematografica e narrativa del gioco. Questo perché abbiamo voluto goderci le vicissitudini del gatto protagonista con la necessaria cura e, soprattutto, con quella dose di relax e disimpegno che il gioco stesso imponeva... almeno in prima battuta. Perché è vero che è la natura così spiccatamente felina del protagonista e dei suoi comportamenti a conquistare il giocatore, ma via via che la storia procede emerge un mood intimo, malinconico e accusatorio nei confronti dell'umanità e del cammino che ha intrapreso.
Mi è semblato di vedere un gatto
Ma partiamo da un punto essenziale del gioco, quello che colpisce fin da subito e che ha fatto puntare i riflettori su Stray sin dall'annuncio: il gatto che ne è protagonista. E si tratta di un personaggio principale notevole, caratterizzato come ci si aspetterebbe, con tutte quelle movenze e attitudini feline che lo rendono credibile in quanto tale (sfidiamo chiunque a resistere dal rifarsi le unghie ogni volta che si presenta la superficie adatta o far cadere bottiglie e altri oggetti dai ripiani o dal restare ammaliati dalle fusa che fa il DualSense della PS5 su cui l'abbiamo provato). Si tratta di un valore aggiunto importante soprattutto nelle fasi iniziali di Stray, durante le quali si ha veramente la sensazione di guidare un gatto, una sensazione amplificata dallo splendido prologo che ci immerge nella situazione narrativa e dalle scelte di gameplay che limitano le opportunità a quelle che realmente avremmo se fossimo dei gatti.
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Dove nessun gatto è mai andato prima
Una sensazione che viene in parte mitigata procedendo con la storia di Stray, nel muoverci nel mondo distopico di un futuro imprecisato che fa da sfondo all'avventura del gatto, un'ambientazione priva di uomini, desolata e desolante, popolata solo da robot e fastidiosi esseri chiamati Zurg. Ci muoviamo tra essi con una disinvoltura forse eccessiva per un felino, ma giustificata dall'espediente narrativo di B-12, un drone dotato di intelligenza artificiale che sopperisce alle nostre mancanze intellettive in quanto gatto. Una forzatura che non infastidisce, perché quando arriviamo a quel punto di storia siamo ormai conquistati dal gioco, coinvolti e già soddisfatti dai vezzi felini della prima parte d'avventura e siamo pronti a fare di più.
Semplicità, ma grande immedesimazione
Non è nel gameplay la forza del gioco sviluppato dal team francese BlueTwelve Studio, ma nel cuore che questa semplicità riesce a veicolare: le dinamiche di gioco sono semplici e soprattutto nella prima parte non dobbiamo/possiamo far altro che seguire un binario invisibile, ma tanto basta per tratteggiare il mondo in cui ci andiamo a immergere, che emerge da ricordi perduti estrapolati dall'ambiente, dai racconti dei buffi robot con i quali entriamo in contatto, da dettagli di ogni tipo che arricchiscono il contesto decadente e spiazzante che ci troviamo a esplorare. Splendido infatti il design degli ambienti e tutto il comparto artistico del gioco, che riesce a rendere vari e riconoscibili le scenografie pur partendo da una matrice comune e coerente.
Dalla Città Morta ai bassifondi, passo dopo passo andiamo a svelare quanto accaduto al mondo distopico di Stray, conoscendo gli Oltreggiosi che sognano di raggiungere l'Oltre, ovvero ciò che c'è sopra la volta stellata che copre la città, e sentendoci in sintonia con la loro spinta verso l'alto. Anche noi, ovvero il gatto che controlliamo, vogliamo raggiungere la nostra colonia e non possiamo che essere accolti in questo bizzarro gruppo di sognatori.
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È misurata e ben bilanciata l'esperienza di gioco, nello sfruttare a dovere la semplicità di cui parlavamo per aiutare il giocatore a entrare con naturalezza nella storia. Un aspetto che va ad accompagnare ed enfatizzare la fascinazione iniziale dovuta all'intuizione di farci impersonare un gatto: il protagonista intriga, la storia conquista. Non stupisce che nella settimana abbondante dall'uscita il gatto di Stray appaia un po' ovunque su web, non solo sulle testate di settore, ma anche su quelle generaliste che hanno percepito l'interesse del pubblico. D'altra parte il web è da sempre territorio di conquista di gattini di ogni tipo e quello di Stray non poteva fare eccezione!
Conclusioni
Un’esperienza di gioco semplice e coinvolgente. Di questo abbiamo parlato nella nostra recensione di Stray, che ha sottolineato come l’aspetto narrativo del gioco sia capace di catturare il pubblico e coinvolgerlo nelle disavventure e nell’indagine del gatto protagonista. Suggestivo il lavoro artistico nel tratteggiare un’ambientazione distopica decadente e desolante, in cui ci si muove agevolmente grazie a un gameplay immediato e accessibile anche a giocatori casual. Ma è soprattutto lui che conquista: il gatto che ci troveremo a guidare nella sua esplorazione del mondo, con tutti i suoi vezzi e tic che non possono che ammaliare con tutto il loro fascino felino.
Perché ci piace
- Lui, il protagonista. Un gatto con tutti i suoi impagabili vezzi felini.
- L’ambientazione distopica finemente tratteggiata dal comparto artistico del gioco.
- La riflessione, intima e sofferta, sull’umanità e la sua deriva.
- Le dinamiche di gioco templi, che aiutano anche il giocatore meno smaliziato…
Cosa non va
- … ma che possono deludere i gamer più incalliti e dediti a titoli più complessi.
- Qualche incertezza tecnica, che però non rovina l’esperienza narrativa del gioco.