A più di dieci anni dalla fine di Spartacus, l'universo creato da Steven S. DeKnight è tornato a sorprendere con House of Ashur. Una serie che non è un sequel né un prequel - come lo era stato Gli Dèi dell'Arena per via della malattia di Andy Whitfield - ma un audace what if: e se Ashur non fosse mai morto? Da questa domanda nasce un nuovo racconto di potere, sopravvivenza e lotta di classe, capace di dialogare con il presente pur restando ancorato alla brutalità dell'antica Roma.
Almeno questa è la prima cosa che ci dice il creatore Steven S. DeKnight, tornato alle redini anche di questa nuova avventura. Quando lo incontriamo su Zoom, scorgiamo dietro di lui i poster di tutte le sue opere: la prima stagione del Daredevil di Netflix e Jupiter's Legacy, non a caso entrambi di ispirazione fumettistica.
"Non volevo un sequel, ma una storia più intima e politica" - ci dice - "Amo questo mondo. Negli anni Lionsgate e STARZ mi hanno spesso chiesto più volte di tornare, ma non era mai il momento giusto. Invece di guardare avanti, ho guardato indietro". Non una mera operazione nostalgica, ma un cambiamento radicale che parte da un "E se..."
Spartacus: House of Ashur, l'origin story di Steven S. DeKnight
L'idea alla base della serie in streaming ogni sabato su MGM+ nasce da una battuta pronunciata da Ashur nella serie originale: "Questa è l'ascesa della Casa di Ashur". Una frase che, col tempo, è diventata un soggetto a sé stante: "Ho pensato: e se Ashur non fosse morto? Come sarebbe cambiata la storia?". Una proposta che DeKnight temeva potesse essere respinta, ma che invece è stata accolta con entusiasmo. Il risultato è un prodotto concentrato sugli intrighi del ludus, sulla politica cittadina e sui personaggi. "È uno spazio perfetto per raccontare il potere da vicino".
Uno stile visivo riconoscibile che ritorna
Lo stile resta quello iconico della saga, ispirato a 300 di Zack Snyder, ma evolve. "All'inizio Spartacus era un esperimento. Ora sappiamo esattamente cosa funziona - ci spiega DeKnight - "STARZ ci ha sempre permesso di spingerci oltre, ma qui c'è una maggiore consapevolezza narrativa. Ogni eccesso ha un senso".
La prima gladiatrice nell'arena della serie MGM+
È proprio in questo contesto che nasce una delle novità più forti dello spin-off. Tenika Davis è la new entry più importante nei panni di Achillea: la prima gladiatrice a combattere nell'arena, un nuovo archetipo per il franchise. "Mi sono sentita potente" - ci racconta l'attrice, visibilmente entusiasta su Zoom - "E anche responsabile. È la prima gladiatrice donna e nera in tv. Quando ero bambina, i personaggi forti non mi somigliavano, come Xena principessa guerriera, per quanto amassi Lucy Lawless. Ora qualcuno potrà guardare Achillea e dire 'Quella potrei essere io'".
Storicamente le gladiatrici esistevano, ma comparvero molto più tardi. "Il bello del what if" - ci spiega lo showrunner - "è che ci permette di introdurre elementi che nella serie originale non avevano senso cronologico. È il primo pezzo del domino che Ashur fa cadere, per osservarne l'effetto a catena".
Achillea non è solo una provocazione: è uno strumento narrativo che parla anche al presente. "Questa serie racconta la condizione umana" - aggiunge Davis - "Lo shock, il rifiuto del nuovo, la paura di ciò che rompe le regole: i Romani reagivano come reagiamo noi oggi". La sua presenza nell'arena infatti destabilizza l'élite romana, proprio come destabilizza lo spettatore.
Ashur non introduce Achillea per ideologia o progresso: lo fa per necessità. È una mossa disperata, un atto di sopravvivenza politica. Lo spin-off introduce personaggi queer, corpi non conformi, restituendo un'idea di Roma più complessa e meno stereotipata. Come sottolinea Davis, queste persone esistevano, ma non sono mai state raccontate. Ed è qui che la saga di Spartacus conferma la sua unicità: usare il passato non per rassicurare, ma per disturbare.
Il ritorno di Nick E. Tarabay come Ashur
A dare profondità al protagonista è Nick E. Tarabay, che torna nei panni di Ashur. "Sembra un cambio di potere, ma non lo è davvero" - ci spiega l'attore, raccontando come abbia dovuto farsi i muscoli per tornare nel ruolo - "Ashur ottiene il ludus, ma resta un outsider. È ancora uno schiavo, solo in un altro contesto, quello della politica.
Il potere, in House of Ashur, non è emancipazione ma una nuova forma di prigionia. Ashur resta un outsider, un siriano tollerato ma mai davvero accettato, costretto a lottare non per dominare, ma per sopravvivere. Se sulla carta sembra finalmente vincitore, Tarabay smonta subito l'illusione: non importa quanto in alto arrivi, importa da dove vieni.
Il tema centrale è ancora la classe sociale, ma ribaltata. Un discorso che risuona ancora oggi: "La politica cambia, ma il gioco di potere è sempre lo stesso". Per Tarabay, la serie mostra un Ashur inedito, non più solo il manipolatore, il sopravvissuto, lo stratega. "Per la prima volta vediamo il suo cuore. La sua vulnerabilità. Lui non è nato così, è stato plasmato dalle circostanze, dai rifiuti, dalle mutilazioni fisiche e simboliche".
Se l'arena è spettacolo, la politica è il vero campo minato. "Nell'arena sai chi è il tuo nemico" - ci confessa Tarabay - _"In politica no. È molto più spaventoso". Ed è proprio questo il cuore della serie: intrighi, alleanze instabili, tradimenti.
Il ritorno di Lucy Lawless e l'eredità della saga
Nel primo episodio compare anche Lucy Lawless, in un cameo simbolico nei panni di Lucrezia. "Era fondamentale" - ci racconta Tarabay - "È come se avesse benedetto la serie. Lavorare di nuovo con lei è stato speciale". La guest star assume un valore quasi rituale: una guida, un legame con il passato che legittima il nuovo inizio senza trasformarlo in soprannaturale.
Perché Spartacus resta un cult?
Quanto al segreto del successo di Spartacus, Tarabay non ha dubbi sia sempre stata la sceneggiatura. "Il linguaggio di Stephen DeKnight, a metà tra Shakespeare e Conan il Barbaro. Non è mai stata politicamente corretta. Racconta la verità, anche quando è scomoda". House of Ashur è più brutale, ma sempre con una ragione: "Anche il sesso e la violenza sono strumenti narrativi. Tutto serve a raccontare la nostra storia". Non per scioccare, ma per dire la verità su quell'epoca; e forse anche sulla nostra.