Un professionista che respira l'aria del cinema sin da quando era piccolo, e adesso macina esperienze su esperienze, sia come regista che come direttore della fotografia. Con Maxime Alexandre, belga, classe 1971, abbiamo parlato del suo ultimo lavoro svolto sulla fotografia di Silent Hill: Revelation 3D - una vera sfida, come si evince dalle sue parole - ma anche del suo approccio al lavoro e alla creatività, degli ultimi progetti in veste di autore e degli esordi "cult" davanti alla macchina da presa.
Uno dei lavori più attesi tra i tanti di cui ti sei occupato recentemente è sicuramente il seguito di Silent Hill. In che modo hai sviluppato il lavoro sulla fotografia del nuovo film?
Una delle principali ragioni per le quali ho accettato, e con molto piacere devo ammettere, di girare Silent Hill: Revelation era dovuta al fatto che sarebbe stato il mio primo film in 3D. Uno dei principali dibattiti sull'efficacia dell'effetto 3D é da sempre la profondità dell'immagine, e questo, per il piacere di molti, vuol dire "luce, luce e luce", vedere tutto e più di tutto, ottimo per alcuni generi di cinema, ma molto limitato nel linguaggio della fotografia, e sopratutto agli antipodi del genere horror! Fra i vari lati oscuri e misteriosi dell'universo di Silent Hill il buio ha una ragion d'essere inequivocabile, allora come conciliare la scelta di offrire una nuova visione o dimensione di Silent Hill senza omettere una delle chiavi più importanti del suo universo? Devo ammettere che ho provato la stessa eccitazione di quando mi preparai per il film Riflessi di paura di Alexandre Aja (in quell'occasione ebbi l'opportunità di dover basare la fotografia dando priorità ad ogni tipo di riflesso: acqua, specchi, cromature, ecc), il tipo di sfide che danno al fascino della fotografia un tocco in più quando si creano immagini. La visione di Michael J. Bassett in Silent Hill: Revelation ha dato una magnifica evoluzione nella serie che rispetta ottimamente l'universo del gioco e la fotografia del film ne ha rispettato alla lettera sia questa evoluzione che il suo ruolo chiave nel mondo Konami.
Gli anni sono passati, Heather è cresciuta e per il padre le cose non sono state così semplici: questi i primi punti trattati con accuratezza nella fotografia del film. Per quanto riguarda Silent Hill "l'ordine" é molto più severo, e tornarvi sarà ben più traumatico di quanto molti immaginano!
E' un lavoro in 3D, come abbiamo già detto: l'avete girato con questa tecnica, o il tridimensionale è stato sviluppato in fase di post-produzione? Immagino sia stata una bella sfida per te, se l'hai girato direttamente in 3D...
Abbiamo girato direttamente in 3D. Parlare di sfida è il minimo che si possa dire! I film di genere horror hanno regole ben precise, tanto nella fotografia che nel modo in cui le scene sono inquadrate, e anche se il precedente Silent Hill, a mio parere, non era stato propriamente trattato, a livello fotografico, come un film Horror, con Michael J. Bassett eravamo decisi a dare quel pizzico di tensione e terrore che mancava. Tornando dunque al fatto che con una macchina da presa configurata per girare in 3D non ci si muove come prima, andava ricercato il miglior modo di ritrovare quello che una semplice inquadratura a spalla può dare in un film come questo. Oggi devo ringraziare insieme a Michael J. Basset i produttori, Samuel Hadida e Don Carmody per avermi appoggiato nella ricerca a volte spasmodica di soluzioni per raggiungere quella capacità di movimento che spero "inghiottirà" in pochi istanti gli spettatori nelle profondità di Silent Hill.
Non vorrei deludere nessuno, ma non riesco a rispondere a questa domanda. Devo ammettere che ogni singolo giorno sul set, anche se fisicamente molti sono stati estremi, il vedere volare e muoversi con così tanta leggerezza quelle mastodontiche macchine da presa è stata un'incredibile soddisfazione e l'avere avuto la possibilità di sfidare così tanti tabù nel mondo del 3D hanno reso ogni singolo giorno di riprese euforico.
E' più difficile accontentare gli attori o i registi, nel tuo lavoro?
Ogni film richiede una particolare preparazione, a volte lunga a volte meno, ma serve essenzialmente l'essere pronti il giorno in cui il regista chiama "il motore" a concretizzare alla perfezione quello che fino ad un secondo prima era pura immaginazione nella sua mente. Il mio mestiere è dare corpo all'immaginazione di un'autore, è un mestiere così favoloso che raramente può essere liquidato come una semplice difficoltà nell'accontentare un regista. Ogni scena è frutto di una grande orchestrazione, è fatta di anni di lavoro e preparazione. Per questo forse, dire che un regista sia difficile da accontentare potrebbe essere visto meglio come una cosa positiva!
Dunque, la risposta è ovviamente gli attori. Ho sempre avuto una sorta di timore verso di loro, non come persone, ma nel rispetto della loro concentrazione. Trovare l'istante giusto per sottolineare una nota tecnica un minuto prima di girare, credo sia l'aspetto più difficile del mio lavoro. Un paragone ideale potrebbe essere quello di svegliare qualcuno proprio nell'istante in cui questo inizia a sognare. Odioso direi. E siccome, molti saranno d'accordo con me, è spesso difficile individuare il carattere di un attore quando è a cavallo tra realtà e ruolo, capirete quanto delicato sia a volte il rapporto con loro.
In realtà ho iniziato ben prima! Ad eccezione di pubblicità, il mio primo ruolo é stato nel 1980 in un film del regista francese Elie Chouraqui Une page d'amour con Anouk Aimée e Bruno Crémer. In quegli anni mio patrigno, Inigo Lezzi, era aiuto regista. E' così che per diverso tempo, da bambino, ho fatto piccoli ruoli e "comparsate" con registi come Bellocchio, Amelio, fino a Bianca di Moretti, che se non sbaglio é stato l'ultimo. Cosa mi ricordo di quell'esperienza ? "Ho dato un casotto a quel cretino a scuola" e "Costano tropo queste ragase!"... Fortunatamente ho perfezionato l'accento negli anni, ma il pensiero sul costo delle ragazze...
Che effetto fa rivedermi in video, oggi? Scusate se è poco, ma essere seduto accanto a Nanni mentre recita frasi come "Continuiamo così... facciamoci del male"... neanche con la MasterCard!!! Dopo il thriller Holy Money hai diretto l'horror Christopher Roth, che hai presentato a Orvieto. Si parla di un autore di thriller che viene perseguitato dalla violenza delle sue fantasie. C'è uno spunto autobiografico in questa storia?
Assolutamente sì. Ritengo aver avuto in questi anni una fortuna inaudita, certo ho dato molto al mio lavoro, sacrificando spesso anche la famiglia, ma dal mio primo film come direttore della fotografia, Alta Tensione di Alexandre Aja ad oggi con Silent Hill Revelation 3D di Michael J. Bassett, sono passati ben 14 altri film in soli otto anni, film come Le colline hanno gli occhi, Riflessi di paura, La città verrà distrutta all'alba, -2: Livello del terrore ed altri di meno successo, e tutto ciò ha ovviamente un altro costo... Incubi, molti incubi, sembra uno scherzo ma ho smesso di leggere sceneggiature prima di andare a dormire. Ho passato anche un periodo di frustrazione dove desideravo ricevere anche altri progetti che non fossero horror, e così è successo, oggi lavoro su progetti di differente genere, non solo horror, e come Christopher Roth ho ancora un'incredibile piacere nello sfiorare quella sottile linea che separa la realtà dall'immaginazione.
Che differenze ci sono tra Maxime Alexandre regista e Maxime Alexandre direttore della fotografia? Hai un approccio diverso ai due lavori, o è sempre lo stesso?
Penso che i punti in comune siano la passione per il cinema e la naifte di credere in qualsiasi sogno, la differenza invece é probabilmente l'esperienza di 16 film da direttore della fotografia contro i 2 da regista, anche se devo ammettere che non esiste un film simile ad un altro.
Speri di proseguire il tuo percorso artistico come regista o direttore della fotografia?
Termino con una battuta... Se Steven Soderbergh può... Io posso!
Certo ho ancora un po' di strada da fare, ma se credo tanto ai sogni forse significa che sono ancora molto giovane!