_Perché, in un paese libero come l'Italia, un tycoon televisivo è potuto diventare un uomo politico e capo di governo talmente potente da segnare quasi un ventennio della recente storia del nostro paese? Solo grazie al suo potere mediatico? Perché proprio lui? E perché proprio in Italia? _Partendo da queste interrogativi i giornalisti Giacomo Durzi e Giovanni Fasanella provano a dare delle risposte plausibili, se non consolatorie, sul fenomeno Silvio Berlusconi attraverso il documentario S.B. Io lo conoscevo bene che arricchisce di un'anima sociale la sezione Prospettive Italia. Strutturando il lavoro non come un'inchiesta politica, ma come un vero e proprio studio antropologico, i due registi tentano di ricostruire, attraverso i ricordi di chi ha incrociato la sua strada, l'immagine del cavaliere e del paese che è rimasto immobile a guardare la sua ascesa. Il risultato è un percorso storico e culturale che tutti ci coinvolge, compresi personaggi pubblici come il responsabile di Gladio, Francesco Gironda, e il vicepresidente della Camera Vittorio Dotti. Con i loro ricordi e quelli di Paolo Pillitteri, Armando Cicero, Giuliano Ferrara, Paolo Cirino Pomicino e Paolo Guzzanti i due Durzi e Fasanella tratteggiano le fasi essenziali di un ventennio di cecità che, a guardarlo nel suo insieme, fa onestamente paura.
Il documentario è un mezzo espressivo particolarmente complesso che può essere utilizzato per realizzare un film o un'inchiesta. Voi siete riusciti, attraverso il suo linguaggio, a mettere in evidenza aspetti rilevanti della cronaca storica degli ultimi vent'anni capaci di ricostruire l'ascesa personale di un uomo come Silvio Berlusconi. Come avete strutturato il progetto? Giacomo Durzi: Il nostro fine era di evitare un'indagine, nella forma più classica, ma di storicizzare l'uomo, mettendo in evidenza le caratteristiche personali e sociali che lo hanno portato così in alto. Per questo motivo ci interessava percorrere questa strada attraverso la voce di chi gli è stato accanto fin dalla nascita di Forza Italia, condividendo l'idea del movimento e, poi, allontanandosi disillusi. Poi, per quanto riguarda l'organizzazione del lavoro, abbiamo scelto un ordine cronologico iniziando dalla sua "caduta" nel 2011, tornando indietro alla situazione storica di un paese che ha permesso la sua scesa in campo.Giovanni Fasanella: Il nostro obiettivo era quello di rispondere ad una domanda che nessuno, fino ad ora si era mai fatto. Ossia perché un paese come L'Italia aveva permesso a Berlusconi di arrivare così in alto? Nel considerare gli ultimi venti anni, dobbiamo partire dal presupposto che questo personaggio non è arrivato come una sorpresa da un altro pianeta, ma è il prodotto della storia e della cultura del paese stesso. Per questo motivo abbiamo deciso di dare la parola proprio a chi ha condiviso con lui il progetto politico, investendo nel berlusconismo per poi veder disattendere ogni speranza. Voglio precisare che il documentario viene presentato in un momento in cui, presumibilmente, questa pagina di storia è stata archiviata completamente, ma abbiamo iniziato a realizzarlo più di un anno e mezzo fa, ossia prima delle dimissioni del 2011. Quindi, tutti coloro che hanno scelto di parlare, lo hanno fatto con grande coraggio. Dottor Gironda, qual è la sua interpretazione del berlusconismo? Francesco Gironda: Berlusconi è il classico esempio di chi inizia nel modo positivo e, poi, termina nel peggiore. E' per questo motivo che ognuno di noi, pur appoggiandolo, ha lasciato il movimento politico nel momento in cui lo ha visto trasformarsi in altro. Il difetto più grande di Forza Italia è stata proprio la sua gestione oligarchica che, riconoscendo nel suo leader l'accentratore di tutte le responsabilità, ha cancellato totalmente la natura democratica. Posto che nessuno dei partiti presenti in questo momento può vantare di rispondere perfettamente ai canonici democratici, il conflitto con le dichiarazioni di un Berlusconi liberale erano ancora più evidenti. Riunendo nel suo partito la cultura socialista, nazionalista e cattolica riformista, decise di diventarne l'unico interprete in grado di produrre una sintesi valida. Ma per fare questo si devono possedere doti e cultura tipiche di un uomo di stato o avere la capacità di riunire intorno a te persone capaci di svolgere questo compito. Inoltre, a peggiorare la situazione è arrivata anche un'interpretazione sbagliata della crisi economica, Insomma, la battaglia è stata persa perché il generale ha sbagliato l'obiettivo. Ascoltando tutte le dichiarazioni rilasciate, però, si avverte solamente una forte disillusione senza alcuna punta di rabbia... Vittorio Dotti: Il fatto è che il film non vuole occuparsi in nessun modo del Berlusconi politico già sperimentato. Più che altro ho capito che in Durzi e Fasanella c'era l'intenzione di capire come era l'uomo prima che accadesse tutto questo. E da questo punto di vista credo di essere uno dei testimoni più genuini, visto che il mio rapporto è molto antico e cessa proprio nel '96. Ho conosciuto Berlusconi negli anni Ottanta, all'epoca dei suoi successi come imprenditore e in questi l'ho seguito nella veste di avvocato e consulente. Quindi, partendo da questo presupposto, ci dovrebbe essere chiesto quando è stato il momento in cui in lui non abbiamo più visto la persona che credevamo di conoscere. In base alle risposte ci possiamo spiegare perché molte persone si sono lanciate convinte nell'operazione politica, per poi abbandonare di fronte al palesarsi di una persona diversa.
C'è stato qualcuno che si e rifiutato di testimoniare? Giovanni Fasanella: Assolutamente sì. In modo particolar tre categorie. La prima è formata da tutti quelli che non avevano alcun interesse a parlare con noi, la seconda è composta da personaggi impegnati nella ricostruzione di una nuova verginità politica, mentre nella terza possiamo collocare chi ancora rimane a guardare una possibile resurrezione del cavaliere. Ma non faremo nessun nome, non lo troviamo elegante.