Una carriera lunga quarant'anni e 23 film, di cui l'ultimo, L'Industriale, è stato presentato proprio alla sesta edizione del Festival di Roma. Con questi numeri Giuliano Montaldo celebra quattro volte vent'anni nell'omonimo documentario di Marco Spagnoli che, inserito nella sezione Prospettive Italia, propone il ritratto di un regista e un intellettuale capace di guardare ancora alla realtà sociale e artistica del nostro paese con estrema chiarezza. Dopo un inizio come attore, Montaldo ha scopre il suo talento dietro la macchina da presa grazie soprattutto all'intervento dell'amico Gillo Pontecorvo. È il 1962 e con Tiro al Piccione il neo regista genovese mostra un tocco e uno stile personale sostenuti da un' interpretazione acuta dell'attualità e da un piacere per la ricostruzione storica. Negli anni seguono pellicole indimenticabili come Sacco e Vanzetti, L' Agnese va a morire, Giordano Bruno e Il giocattolo. Ma oltre ai momenti trascorsi sul set, il documentario mostra il volto inedito dell'uomo, svelando le sue esperienze personali e curiosando nei ricordi di una Dolce Vita che, ormai, non esiste più.
Maestro, com'è stato convinto a mettersi in gioco e raccontarsi per questo documentario? Giuliano Montaldo: Avevo incontrato Marco Spagnoli per una intervista e dopo un po' di tempo mi è arrivata da parte sua la proposta per questo ritratto, in cui avrei dovuto raccontare i miei molti anni al servizio del cinema. Cogliere tutti gli aspetti diversi della mia attività non è un lavoro facile. Sono stato attore, aiuto regista, sceneggiatore, regista, produttore fino a mettermi nei panni di chi scegli per Rai Cinema. In questa veste ho trascorso quattro anni allo stesso tempo meravigliosi e difficili, perché non è mai facile rifiutare il progetto di un collega. Per quanto riguarda il film di Marco, confesso di non averlo ancora visto. Lo guarderò per la prima e l'ultima volta questa sera, perché come mia abitudine non riesco a riesaminare troppo un lavoro che mi coinvolge. Penso sempre di aver tralasciato qualche cosa o, in questo caso, di aver dimenticato di citare qualcuno.Avendo a disposizione la personalità e l'esperienza di Montaldo, quanto è stato difficile tagliare e rinunciare a dei momenti ? Marco Spagnoli: All'inizio dei lavori mi ero prefissato di seguire il flusso della narrazione e dei ricordi, poi, però, ti succede di essere così preso dalla storia da non avere più uno sguardo critico. Il problema è che non si riesce a rinunciare facilmente, quindi fondamentale è l'intervento di persone esterne. In questo caso ho chiesto consiglio a mia moglie e mi sono affidato allo sguardo di Jacopo Reale, il montatore con cui ho dato forma a questo lungo racconto. Alla fine delle riprese ci siamo trovati con più di cinquanta ore di girato, a quel punto dovevamo necessariamente arrivare al succo della narrazione, altrimenti avremmo rischiato di fare un cattivo servizio al documentario e a Montaldo stesso.
In un paese che tende a "rottamare" cultura e persone, come può essere utilizzata una lunga esperienza come la sua? Giuliano Montaldo: A me i rottamatori non piacciono, per il semplice fatto che parlano solo ed esclusivamente del primo atto, ossia del buttare via, mentre si dimenticano sempre di andare al passo successivo e di considerare la ricostruzione del nuovo. Vedete, non credo che serva molto gridare alla distruzione e alla cancellazione totale senza poi offrire una soluzione concreta. Secondo me, in questo momento dovremmo comportarci come fecero mio padre e molti altri nel 1945. Ossia rimboccarci le maniche e lavorare tutti insieme per raggiungere un bene comune. In questo modo si costruisce un paese migliore ed una democrazia più efficiente.Nel documentario, in relazione al lavoro da lei svolto sulla discriminazione, afferma che se questo è il mondo che abbiamo costruito, allora abbiamo decisamente perso. Ha effettivamente questa disillusione rispetto al presente? Giuliano Montaldo: Con film come Sacco e Vanzetti e Giordano Bruno ho cercato di raccontare i guai che nascono dall'intolleranza. Quando ancora oggi vedo applicare questo atteggiamento nei confronti della gente che lavora o degli immigrati, penso che le mie aspettative di un mondo migliore sono state disattese. Anche io ho fatto sempre molta fatica per realizzare i miei film. Quando si vogliono raccontare tematiche come le mie ci si può scontrare con molta intolleranza, ma non credo proprio di essere disposto a fermarmi per questo.
Cosa pensa del cinema oggi e del suo rapporto con lo spettatore? Giuliano Montaldo: Credo fermamente che la gente debba andare al cinema e smettere di rubare qua e la. E bello ridere e piangere insieme per un'emozione. Quindi invito tutti a guardare i film in grande sullo schermo, perché sono molto più belli.