A suo agio nelle vesti di eroina moderna, pronta a tutto per difendere chi ama, Noomi Rapace veste stavolta i panni di una madre in profonda crisi nell'opera del norvegese Pål Sletaune, Babycall, presentato in concorso al Festival Internazionale del Film di Roma. La Lisbeth Salander della trilogia di Millenium è Anna, una donna che vuole disperatamente difendere il figlio Anders dal padre violento; dopo essersi trasferita in un luogo segreto, compra uno strumento elettronico che le permette di ascoltare il bimbo mentre dorme. Una misteriosa presenza infantile nella casa e le urla di un bambino, forse vittima di un'aggressione, spingono Anna a pensare che quella casa non sia in realtà il posto più sicuro in cui nascondersi. Naturalmente, come ogni horror che si rispetti, nulla è davvero come sembra. L'opera del cineasta norvegese è stata girata a Oslo nello scorso luglio, proprio nei giorni della strage di Utoya, l'isoletta nei pressi della capitale in cui Anders Behring Breivik uccise oltre 90 persone in preda al delirio, un dato di cronaca che ben spiega il senso di inquietudine che pervade tutta la pellicola, un'indagine ricca di pathos negli oscuri labiriniti della mente umana.
Pal, perché hai deciso di intraprendere questa sorta di viaggio nella psiche umana? Pål Sletaune: Tutto è cominciato quando otto anni fa ho letto un articolo in cui si parlava di una situazione uguale a quella del film, insomma si pensava che un bambino fosse stato abusato. L'idea è partita da lì, poi qualche tempo dopo ho visto una donna in macchina con un bambino e ho iniziato a seguirla con l'immaginazione e ho combinato le due ispirazioni. Il film è tutto incentrato sulla percezione della realtà. Per me è stata davvero una grande sfida poter raccontare la storia di una donna che cambia il suo mondo per continuare a sopravvivere.
Noomi ci racconti com'è stato lavorare a questo personaggio? Noomi Rapace: E' stata un'esperienza straordinaria. Ogni volta che lavoro ad un personaggio cerco di "assorbirlo" per interpretarlo al meglio, per far sì che scorra nelle mie vene. A me non piace fingere. Io ho un figlio e so bene quanto la maternità sia complicata, quindi mi rendo perfettamente conto che pur amando il bambino, Anna inizi a comportarsi in maniera sbagliata. E poi si trova in quella situazione completamente da sola, ho provato a mettermi nei suoi panni, annullando la distanza tra me e lei. Per due mesi sono diventata lei.E poi il ruolo di questa madre si distacca notevolmente dai tuoi personaggi precedenti, comunque molto forti, anche dal punto di vista fisico... Noomi Rapace: Sì è vero. Lei non è una combattente è una donna fragile, che non sa difendere sé stessa, né gli altri che stanno con lei. Oltretutto io adoro l'attività fisica e mi piace allenarmi per preparare il personaggio. In questo caso dovevo apparire più morbida, quasi debole e per ben sei mesi non ho visto la palestra. Certe volte, a fine giornata, ero completamente indolenzita. Nonostante mi avessero consigliato una valanga di rimedi, nulla sembrava funzionare. Credo che il mio corpo abbia reagito così al personaggio di Anna, che ha preso il sopravvento su di me. Credetemi non riuscivo neanche a camminare. E l'ultimo giorno delle riprese il dolore è scomparso improvvisamente. Ecco, non c'era nulla che non andasse, penso che il fantasma di Anna abbia invaso il mio corpo. Non ho mai avuto così tanti incubi in vita mia. Qualcuno potrebbe dire che ad un certo punto bisognerebbe tirare i remi in barca, ma a me piace viaggiare su questo confine tra personaggio e vita.
Quindi, confermi il tuo amore per i personaggi 'dark', non senti il bisogno di lavorare in una commedia o più in generale in un film più leggero, ad esempio come Sherlock Holmes - Gioco di ombre di Guy Ritchie? Noomi Rapace: Ma anche in quel caso sono riuscita ad esaltare il lato tormentato del mio personaggio che è una zingara, una rom, quindi un'emarginata. Non lo so, forse la verità è che il mio cuore batte più forte per i personaggi che combattono. Proprio non mi attirano quelli che sorridono e basta. Per intenderci non farei mai una commedia romantica. Mi piace pormi domande difficili sulla vita e quando non riesco a capire quale sia la chiave giusta per entrare in un personaggio allora per me diventa un'ossessione.
Hai notato delle differenze di impostazione tra una grande produzione hollywoodiana come quella diretta da Guy Ritchie e i film europei? Noomi Rapace: Credevo di sì, invece non ho trovato differenze ragguardevoli. Guy mi ha dato molta libertà nello sviluppare il mio personaggio. Forse il discorso cambia per il regista. Immagino che sia diverso poter lavorare con un grosso budget a disposizione.
Pal, nel film ci sono tanti punti che sembrano non combaciare, tanti indizi che in realtà sorprendono lo spettatore. E' stata una tua scelta ben precisa? Pål Sletaune: In Norvegia, dove il film è uscito con grande successo tre settimane fa, ancora ne stanno discutendo. Ci sono blog in cui ognuno confronta il suo punto di vista e la sua interpretazione della pellicola. Vuol dire che abbiamo fatto centro. E' vero il film è un puzzle in cui i pezzi coincidono a fatica. Nello studio del mio psicoanalista c'è un quadro di De Kooning e ogni volta in quel dipinto ci vedo un qualcosa di diverso. Se parlo di mio padre vedo un cavallo morto, altrimenti un punto nero. L'arte è così, quindi l'invito che rivolgo agli spettatori è di interpretare il film in base alla loro esperienza. Uno dei miei pittori preferiti è Giorgio De Chirico. Nei suoi quadri vedi prospettive strane, il suo è un mondo credibile ma impossibile.Noomi Rapace: E per me è stato doppiamente faticoso. Io avevo bisogno di sapere cosa fosse vero e cosa no, non potevo sopportare quel mistero.
Perché secondo voi negli horror c'è quasi sempre la presenza di un bambino?
Pål Sletaune: Credo perché siano creature vulnerabili. Mi sono accorto di questo quando è nata mia figlia. Avevo 45 anni la mia vita è cambiata, al pari delle mie paure. Noi siamo pronti ad accettare la nostra morte, ma non quella di un figlio.
Noomi Rapace: E poi i bambini sono più vicini a dio e al diavolo. E un bambino cattivo mette molta paura.