Ci perdonerà Andrea Camilleri se scriviamo che la faccia del nonnino affettuoso intento a leggere le favole ai nipotini non ce l'ha proprio. Troppo sornione e malandrino il suo atteggiamento, troppo ironiche le sue uscite per essere solo "relegato" al ruolo di grande vecchio della letteratura italiana, in vena di confidenze sul suo mondo; forse, però, è proprio per questo che l'autore siciliano, noto in tutto il mondo per essere il padre artistico del commissario Montalbano, ha letteralmente incantato i ragazzi che hanno partecipato oggi all'incontro organizzato nella sezione Eventi Speciali del Festival Internazionale del Film di Roma. Due ore abbondanti di confidenze e dichiarazioni forti che hanno lasciato a bocca aperta la platea, quasi dispiaciuta al termine della conferenza. E il faccia a faccia è stato fortemente voluto dallo scrittore proprio per raccontare a quel pubblico così ricettivo gli anni della sua giovinezza, presentata attraverso sequenze di film girati durante il fascismo. "All'epoca ero molto più libero di voi oggi - ha tuonato Camilleri -. L'unica cosa che posso dire ad un giovane è di essere se stesso, cercando di farsi condizionare il meno possibile da una società che finge di darti un massimo di libertà e che in realtà ti sottopone ad un massimo di condizionamenti".
Un avviso ai naviganti forte e chiaro che il narratore ha espresso dal profondo del cuore, per dare senso ad una giornata in cui si è parlato tanto anche di cinema e delle futura serie televisiva della Rai dedicata al giovane Montalbano, interpretato da Michele Riondino. "Andavo di nascosto in un cinema-teatro di legno che sembrava quello di Fitzcarraldo. Eravamo tutti innamorati di Tom Mix e dei western che allora si chiamavano horse opera. Erano film di una semplicità rigorosa e non ce ne perdevamo uno; da una parte c'era l'eroe e dall'altra l'eroina, con lo sceriffo e il vecchio che in genere moriva subito. Poi c'era un solo indiano". "Il cinema dei miei primissimi anni era soprattutto il cinema ingenuo americano - ha raccontato Camilleri -, western, certo, ma anche tutti i film di Tarzan. Prodotti assolutamente manichei, con una forte linea di demarcazione tra cattivi e buoni. Poi la cinematografia italiana cominciò a produrre le sue prime opere, grazie a registi come Augusto Genina, Mario Camerini e Alessandro Blasetti. Tutti avevano una loro personale fisionomia. Tra questi, però, il mio preferito era senza dubbio Camerini. In un'epoca, come quella fascista, in cui si celebrava la retorica della forza, delle grandi imprese, degli eroismi, Camerini aveva una sua poetica attenta alle piccole cose. Era un cantore della borghesia e del proletariato vicino alla borghesia".
Non erano anni facili, quelli, per il giovane cinefilo Camilleri, soprattutto perché ad un certo punto il fascismo condizionò la produzione cinematografica e l'Italia divenne (in maniera del tutto irreale) il migliore dei paesi possibili. "In un paese in cui l'adulterio era inammissibile, in cui lo scapolo veniva considerato un reietto, quasi come un fumatore oggi - ha spiegato -, le passioni extraconiugali, che pure dovevano essere raccontate, finirono tutte a Budapest. Non si capisce perché l'Ungheria fosse diventata la patria dei cornuti. Anche i nostri gangster movie erano ambientati in Inghilterra o in America. In Italia non si poteva certo uccidere". Quanto ai film di propaganda tedeschi che affollavano le sale italiane, Camilleri si è espresso senza mezzi termini. "Erano ignobili. Erano così sfacciatamente propagandistici che il pubblico li rifutava - svela -. Un giorno il pubblico operaio del mio paese, Porto Empedocle, aveva iniziato a protestare durante la proiezione. Succedeva spesso, così venivano già preparati due film di riserva; una pellicola della serie Tarzan, accolto sempre da applausi scroscianti, oppure La vedova allegra di Ernst Lubitsch, che adoravo. Per questo l'ho visto una ventina di volte. Insomma, una volta il pubblico interveniva, oggi non è più così".


Qualcuno dalla platea ha lanciato l'ipotesi di nominare Andrea Camilleri patrimonio culturale dell'umanità. "Per carità - si è schernito l'autore -, non voglio fare la fine di certi parchi nazionali, trattati come discarica. La cultura è saper mettere la mano al posto giusto e trovare il libro giusto nella biblioteca. Purtroppo, però, in Italia se ne sottavaluta l'importanza. Non è vero che la cinematografia italiana viva un ottimo stato di salute. Film belli come La scomparsa di Patò e Noi credevamo, che ho visto proprio nei giorni scorsi, sono stati prodotti con grande fatica, in mezzo a mille difficoltà e scarsità di mezzi". Non ha trattenuto l'orgoglio Andrea Camilleri quando si è toccato l'argomento cultura. Il tono, però, si è fatto più scherzoso, invece, quando ha smitizzato la sua vita lavorativa. " Se fossi un impiegato statale sarei portato in palmo di mano da Brunetta, peraltro esercizio difficilissimo - ha detto -. Mi alzo presto perché dormo bene, poi mi lavo, mi vesto, mi rado, perché non riesco a scrivere se sono trasandato e quanto quando mi metto davanti al computer risalente a 12 anni fa sono perfettamente in ordine. Io e il computer ci siamo guardati di sottecchi per un anno prima di andare d'accordo. Insomma, lavoro nelle primissime ore del mattino. Poi tre pomeriggi a settimana rispondo a chi mi scrive e gli altri tre, correggo quello che ho buttato giù gli altri giorni. Grazie a questa sistematicità nasce la scrittura". Ultimo pensiero di Andrea Camilleri per la sua vecchia e amata Rai. "Ci ho lavorato per 35 anni e ho sempre rifiutato di essere un dirigente. Devo dire se era meglio ieri? Sì, era meglio ieri. Io non ho mai avuto problemi nell'essere un comunista tesserato, non ho mai avuto censure. Oggi è decisamente più difficile".