Mentre i bookmaker iniziano ad affilare le quote su chi sarà il vincitore o la vincitrice di Sanremo, ecco l'annuncio "a sorpresa" del normalizzatore Carlo Conti: "Roberto Benigni apre la serata. Per me si realizza un sogno", dichiara Conti. "L'ho sempre invitato nei miei tre precedenti festival. Verrà a fare un saluto al pubblico, con la sua allegria, il suo entusiasmo. Mi ha detto che dovrà fare un annuncio", ha aggiunto il presentatore, lasciando anzitempo la conferenza stampa per andare ad accoglierlo".
![Roberto Benigni Sanremo 2023](https://movieplayer.net-cdn.it/t/images/2023/02/08/roberto-benigni-sanremo-2023_jpg_375x0_crop_q85.jpg)
Una sorpresa che, in verità, era nell'aria: già da diverse settimane, infatti, si rincorrevano voci di una presenza del "Roberto Nazionale" sul palco dell'Ariston, affiancandosi agli altri superospiti che, di fatto, superospiti non sono più. Perché con l'arrivo (anzi, con il ritorno) di Benigni a Sanremo viene ormai sancita la canonicità di un evento che di esclusivo non ha più nulla. Con una domanda: davvero, non riusciamo ad andare oltre l'"elemento" Roberto Benigni? L'attore e regista è salito sul palco per ben sei volte, che fanno sette con l'edizione 2025 (la prima nel 1980, poi due volte sul palco dal 2020). Ora, chiariamo una cosa: non abbiamo nulla contro l'artista (e anzi, speriamo di vederlo presto di nuovo al cinema), il nostro è un discorso applicabile anche a Jovanotti (alla terza ospitata) e, restando nei confini di questa edizione, agli stessi Duran Duran, arrivati anch'essi alla terza apparizione. Una presenza, la loro, rivolta più al passato che al presente.
Benigni a Sanremo: la tradizione diventa assuefazione?
Sanremo, dietro la coltre pop e dietro l'engagement del pubblico più giovane, è lo specchio di un sintomo di un paese che non va avanti, rifugiandosi nell'usato sicuro, nel comodo che non scomoda e non stimola. Ripetiamo: Benigni a Sanremo è un pretesto, calzante, per ampliare un discorso che sembra taciuto, e invece è altresì urgente e impellente da affrontare, in quanto il palco dell'Ariston è, da settantacinque anni a questo parte, l'evento artistico più influente d'Italia (e per questo i giornalisti sono tirati in ballo nel dire la loro). Ma in fondo, il Festival di Sanremo, mai come quest'anno, è pure la legittimazione della tradizione, della catena della scaletta da rispettare costi quel che costi, per buona pace dell'emotività e del calore. Non devono esserci scossoni, né fuori programma.
Peccato che poi, come ha detto Geppi Cucciari in conferenza, le "critiche fanno parte di questo mestiere", ammiccando a quel silenzio che è "una battuta come in teatro". Di certo, Benigni, con il suo inconfondibile estro, non starà in silenzio (sarebbe strano, viste le sue leggendarie staffilate satiriche). Ciononostante, ci chiediamo: replicherà lo sketch buontempone divenuto cult (vedi alla voce Pippo Baudo), che oggi appare preistorico? Probabilmente no (speriamo), e se Conti parlava di rivelazione c'è da aspettarsi da parte del regista (ipotizziamo) l'annuncio del suo nuovo e atteso film (speriamo ancora).
Un evento nazional popolare e conservatore
![Benigni Sanremo](https://movieplayer.net-cdn.it/t/images/2025/02/14/benigni-sanremo_jpg_375x0_crop_q85.jpg)
Facciamo un passo indietro - di appena un anno - per enfatizzare quanto il nostro approfondimento non sia confutabile solo a Roberto Benigni. Durante Sanremo 2024, l'ultimo di Amadeus, le cose non erano certo migliori: tra i superospiti ricordiamo Russell Crowe, in pianta stabile in Italia tanto da non fare più notizia, e John Travolta (con le scarpe e il paperino), star non proprio sulla cresta dell'onda. Ci domandiamo perché il Festival continui imperterrito a guardare al passato invece che al presente (per non dire al futuro). Crediamo che Sanremo sia un evento che rispecchi l'alterata temperatura della nostra società: la difficoltà, da parte delle nuove generazioni, di imporsi sui chi, invece, ha già ampiamente contribuito, che resta invece saldamente attaccato alla poltrona. La tradizione che avanza, imperterrita, avallata da quel Festival che, secondo i dogmi, deve sfuggire alle polemiche, restando "zitto e buono".
Peccato che la fuga dalla polemica è quanto mai utopica, e anzi questo Festival è tra i più polemici degli ultimi anni. Andando in ordine sparso: l'affaire Tony Effe con collana censurata; l'improbabile duetto tra Noah e Mira Awad; l'abbraccio mancato di Conti a Francesca Michielin; l'ingombrante presenza di Fedez; la velocità disarmante con cui il presentatore accoglie e poi "allontana" gli ospiti dal palco (come nel caso di Edoardo Bennato).
Così come è utopico pensare di fare televisione senza essere politici: quando entri nelle "case degli italiani" sei già un mezzo politico e politicizzato, assurdo quindi separare qualcosa che vive in osmosi. E allora, se non riusciamo ad andare oltre Jovanotti, Benigni o i Duran Duran, non resta che aspettare quel salto generazionale ormai imminente (come ha dimostrato per fortuna Damiano David): se il 2026 è ancora occupato da Carlo Conti, il 2027 è lì, alla nostra portata. C'è Stefano De Martino che attende una chiamata (e no, non quella del Dottore di Affari Tuoi). Forse forse, riusciremo a fare un Festival meno conservatore e meno canonico. In camicia e senza scaletta.