Robert Zemeckis: da Here a Forrest Gump. Un regista che intaglia con la fantasia

Il regista di Ritorno al futuro aggiunge una nuova tessera a una galleria filmica dove l'anima candida dei suoi personaggi viene esaltata da un uso sperimentale e mai banale della tecnologia.

Robert Zemeckis e Tom Hanks sul set di Cast Away

C'è un eterno fanciullo che vive nell'animo di Robert Zemeckis. È un'indole creatrice, la sua, che lo porta a curiosare, sperimentare, a tratti addirittura anticipare, mondi e tecnologie destinati a fare incursione nel campo della Settima Arte. Come Méliès, Zemeckis non intende limitarsi agli strumenti a propria disposizione, ma gioca, studia, sfrutta ogni possibilità tecnologica, divertendo e divertendosi.

Here Robin Wright Tom Hanks Abbraccio
Una scena del film Here

Misurarsi con la potenza del cinema con gli occhi di un bambino pieno di stupore, e di un cuore a volte pesante per le brutture del mondo, è un tratto che accomuna il cinema di Zemeckis a quello di un altro regista come Steven Spielberg, lo stesso autore che, durante una visita agli studi della Universal Pictures, scopre e lancia la carriera del giovane di Chicago, affidandogli nel 1978 la regia di 1964 - Allarme a N.Y. arrivano i Beatles!. Aveva 26 anni al tempo Zemeckis era giovane e speranzoso, come giovani e speranzosi sono molti dei suoi protagonisti. Una schiera di naif coraggiosi, o innocenti, che nel corso degli anni vanno ad affiancarsi ad altri sguardi, più maturi, più ambiziosi, o più dediti ad affrontare le sfide del destino, facendo di palloni (Cast Away), incontri alieni (Contact), o di bambole (Benvenuti a Marwen) nuovi e improbabili compagni di avventure.

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Tom Hanks in Pinocchio

Il Geppetto del cinema, Robert Zemeckis. Non intaglia legno per costruire i propri personaggi: a lui basta la fantasia e una predisposizione alla tecnologia per dar vita alle proprie opere. Tra gli autori più sperimentali di Hollywood, Zemeckis non vuole essere mai banale, nemmeno a 72 anni. Lo dimostra il suo ultimo film, Here (qui la nostra recensione), dove tutto non si limita all'atto di mostrare, ma vive sulla potenza dello sguardo.

L'immobilità della cinepresa permette così alla vita di scorrere, tra salti temporali e volti che invecchiano e ringiovaniscono. Zemeckis livella, cura, e migliora il suo divertissement cinematografico, mentre a rendere vivi i suoi burattini di fantasia, ci pensa il tocco magico del cinema, dove ogni pensiero, ambizione, o sogno di rendere vivo l'inanimato, e il futuro passato, può adesso realizzarsi.

Il gioco del tempo tra pozioni e DeLorean

Ritorno al futuro: Michael J. Fox con Christopher Lloyd
Una scena di Ritorno al futuro

Nel microuniverso di Robert Zemeckis tutto, anche il tempo, si piega sulla forza della fantasia. Il mezzo in quarzo e avorio capace di viaggiare avanti e indietro negli anni, uscito dalle pagine di H.G. Wells, con Robert Zemeckis si tramuta in una DeLorean che sfreccia a 88 miglia orarie piegando le leggi della fisica e viaggiando nel tempo. Dagli anni Ottanta, a quelli Cinquanta, passando per il 2015, fino al 1885, la trilogia di Ritorno al futuro si fa coming of age sui generis, giocando con i miti del passato e i paradossi temporali, per trascrivere una riflessione mai banale sui conflitti intergenerazionali e sull'immagine che i figli hanno dei propri genitori. In Zemeckis, dopotutto, vige sempre un oggetto che si fa portatore simbolico e mezzo viatico alla sospensione e/o ricalibrazione del tempo.

Goldie Hawn Death Becomes Her
Goldie Hawn in La morte ti fa bella

Se in Ritorno al futuro è quella macchina divenuta icona automobilistica, con La morte ti fa bella è un elisir, antesignano di quella magica sostanza che genera la versione migliore (perché più giovane) di noi vista recentemente in The Substance. Zemeckis non solo anticipa e sfrutta visivamente la potenza degli effetti visivi, tra corpi deformati, bucherellati, e decomposti, ma preannuncia come un indovino del cinema, la rincorsa maniacale, quasi ossessiva, al ritocco chirurgico in una lotta costante contro l'invecchiamento a favore dell'eterna perfezione. Un cancro della società contemporanea che si insidia in quella galleria di specchi che dominano lo spazio attraversato da Madeleine (Meryl Streep) ed Helen (Goldie Hawn) e che Zemeckis assoggetta a una pozione dai tratti quasi disneyani, di una Grimilde pronta a diventare non più strega cattiva, ma eterna fanciulla.

'Ritorno al futuro': trilogia a tempo determinato

La piuma dell'innocenza

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Tom Hanks in Forrest Gump

Per un'anima così dedita al gioco, stimolata da un'aura di fanciullesca scoperta, non sorprende se molti dei personaggi usciti dalla fucina di Zemeckis vivano di quella innocenza che li spinge ad affrontare brutture e bellezze del mondo, sotto forma di nuove avventure. Sono anime candide che la struttura visiva che li accoglie, fatta di effetti visivi e giochi tecnologici, rende ancora più impattanti e grandiose. L'incontro tra Forrest Gump e le grandi icone del Novecento, il passaggio tra le due Torri Gemelle compiuto a più di 400 metri di altezza dal funambolo Petit in The Walk, la fuga di un bambino dalle grinfie delle potenti streghe ne Le streghe, o il crossover tra attori in carne ed ossa e personaggi animati in Chi ha incastrato Roger Rabbit?, sono tanti tasselli di un collage umano dove il potere del cinema e dei suoi effetti magici abbracciano corpi e sguardi di chi sa ancora sognare, nonostante le cadute, nonostante le ferite.

Bob Hoskins e Roger Rabbit in una scena del film Chi ha incastrato Roger Rabbit?
Uno dei cult di Robert Zemeckis, Chi ha incastrato Roger Rabbit?

I personaggi si fanno pertanto dei riflessi speculari del loro creatore, riverberando quello slancio all'immaginazione che fa di ogni cosa impossibile un evento fattibile. Ma sfruttare processi digitalizzanti come quelli del motion Capture non solo serve come estensione visiva della propria fantasia, ma anche come antidoto al dolore e ai traumi che hanno acciecato, soffocato, la felicità dei suoi personaggi. Eroe dell'ordinarietà, il Mark Hogancamp del sottovalutato Benvenuti a Marwen si fa pioniere di una lotta costante contro la dipendenza dal proprio dolore, esorcizzandola con il suo doppio ludico.

Proiettare se stesso nel corpo di una bambola, o di un qualsiasi prodotto di natura artistica, innesca lo stesso processo che vige alla base del cinema: si ricerca tra i raccordi di montaggio sprazzi del proprio essere, scie di un dolore personale o di una gioia tenuta nascosta, così da esorcizzare e rendere più sostenibile il peso del proprio essere. Grazie alla performance capture non solo quindi Zemeckis dona vita alle bambole del suo protagonista, ma rende reali i pensieri che esse silenziosamente raccolgono, rendendo possibile il superamento dei propri traumi.

Corpi animati, fantasie reali

Benvenuti A Marwen 13
Steve Carell in versione bambola

La voglia di sperimentare, di superare i confini dell'immaginabile per renderlo reale, non permette solo a Zemeckis di lasciar convivere figure animate con personaggi reali, ma anche di rendere ciò che è umano animato. Nel contesto di un'epoca come quella attuale, soffocata da continui live-action e dominata dalla rincorsa al perfetto fotorealismo, la volontà di trasfigurare ciò che è vicino a noi per renderlo puro oggetto di arte, si rivela un'operazione coraggiosa. Non più cartoni animati adesso reali, ma uomini e donne che diventano parte integrante di un prodotto fiabesco: tra le mani di Zemeckis la magia del Natale, del racconto orale, delle leggende e dei classici dell'infanzia, vedono la propria portata immaginifica elevata all'ennesima potenza.

Scrooge e Tiny Tim nel film A Christmas Carol (2009)
Una scena da A Christmas Carol

Le corse su e giù per le rotaie di Polar Express, i voli di Scrooge tra i fasti del tempo (A Christmas Carol), e le gesta di uno degli eroi cardini della mitologia norrena (La leggenda di Beowulf) fanno dell'opera di Zemeckis un ibrido perfetto, tra performance capture e richiami a pagine intrise di epica, caducità della vita, speranza e ripartenze. Lo spettatore riesce così a riconoscere l'elemento umano e a esso ancorarsi emotivamente, ma allo stesso tempo si lascia coinvolgere e immergere in un universo tanto fantastico quanto verosimile. Un paradosso reso possibile da quella sperimentazione digitale dove tutto è gioco e fantasia; dove tutto è possibile, basta solo immaginarlo.