La sua fine è stata al tempo stesso simile alla sua opera e dissimile da lui. Simile perché egli ne aveva già descritto, nei suoi romanzi e nei suoi film, le modalità squallide e atroci, dissimile perché egli non era uno dei suoi personaggi bensì una figura centrale della nostra cultura, un poeta che aveva segnato un'epoca, un regista geniale, un saggista inesauribile.
Con queste frasi, il 9 novembre 1975, Alberto Moravia concludeva sulle pagine dell'Espresso, in un articolo intitolato Ma che cosa aveva in mente?, il proprio ricordo del suo amico fraterno Pier Paolo Pasolini. Una settimana prima, nella notte fra l'1 e il 2 novembre, lo scrittore bolognese aveva perso la vita all'Idroscalo di Ostia, dopo essere stato picchiato selvaggiamente; un omicidio le cui circostanze hanno suscitato, e continuano a suscitare, dubbi e interrogativi ancora privi di una risposta definitiva (a questo proposito rimandiamo a un bel film di Marco Tullio Giordana, Pasolini - Un delitto italiano).
Poeta, giornalista, critico, saggista, drammaturgo, romanziere, ma anche sceneggiatore e regista, in circa un quarto di secolo di attività Pasolini ha incarnato il ruolo di artista mediante una pluralità di aspetti e di diverse declinazioni della cultura. Con il suo sguardo impietoso verso la società borghese degli anni Cinquanta e Sessanta, o piuttosto verso la "borghesizzazione" della società, Pasolini ha saputo fondere il suo approccio militante e polemico nei confronti della realtà italiana di quel periodo con un interesse sincero e una volontà di immedesimazione nei confronti dei sottoproletari, dei disadattati, dei giovani e, più in generale, del "popolo", cogliendone di volta in volta i caratteri più genuini e vitalistici.
E per il quarantennale della scomparsa di Pasolini, vogliamo ricordare questo autore insostituibile ripercorrendo dieci tappe fondamentali del suo itinerario cinematografico; dieci film che, all'interno di una produzione vastissima e variegata, contribuiscono alla grandezza di un'eredità artistica di cui ancora oggi non possiamo che essere grati...
1. Accattone (1961)
Un sensazionale esordio dietro la macchina da presa, per un film strettamente legato alle precedenti opere letterarie di Pasolini (in particolare Ragazzi di vita). Presentato al Festival di Venezia 1961, accolto da polemiche e contestazioni e osteggiato a lungo dalla censura (non sarà l'ultima volta per il cineasta bolognese), Accattone offre un desolato ritratto delle periferie romane e della vita quotidiana di un ragazzo del sottoproletariato: Vittorio Cataldi, detto appunto Accattone e interpretato da Franco Citti, lanciato da Pasolini e destinato a diventare uno dei volti simbolo del suo cinema. La descrizione dello squallore della vita di borgata, tra risse e piccoli furti, è sublimata dalle scelte per la colonna sonora, ovvero la Passione secondo Matteo di Bach, quasi a fornire un'aura di sacralità alla drammatica parabola di Accattone.
2. Mamma Roma (1962)
Appena un anno dopo Accattone, nel 1962 Pasolini tornò in concorso al Festival di Venezia con il suo secondo film, Mamma Roma, da accostare al suo folgorante esordio in un ideale dittico sul sottoproletariato romano: una classe di 'diseredati' dei quali Pasolini celebra l'umanità pulsante e tragica. Tutta la pellicola è incentrata sul legame fra Mamma Roma (Anna Magnani), una volitiva prostituta di mezza età in procinto di iniziare una nuova esistenza, e suo figlio Ettore (Ettore Garofolo, un attore non professionista), che la madre cerca di sottrarre ai rischi della vita di borgata. Le musiche di Vivaldi nella colonna sonora e la costruzione delle inquadrature secondo modelli pittorici contribuiscono a far emergere l'intensa emozione con cui Pasolini si accosta ai suoi protagonisti, mentre la Magnani immortala uno dei suoi personaggi più celebri e struggenti.
3. Il Vangelo secondo Matteo (1964)
Uno dei progetti più ambiziosi di Pasolini, ma anche il suo film più acclamato a livello internazionale, ricompensato con il Premio della Giuria al Festival di Venezia 1964 e con tre nomination agli Oscar negli Stati Uniti, dove fu distribuito con lodi entusiastiche nel 1966. Girato principalmente a Matera e in alcune località della Puglia, della Basilicata e della Calabria, Il Vangelo secondo Matteo restituisce le fasi salienti della vita di Gesù Cristo (il ventenne spagnolo Enrique Irazoqui) con una rigorosa aderenza al Nuovo Testamento, ma anche con un approccio che, ad una banale elegia celebritiva, preferisce invece suggestioni capaci di restituire sullo schermo la concreta umanità e il senso del sacro del percorso di Cristo, dalla nascita alla resurrezione. Anche in questo caso, la colonna sonora di Luis Bacalov fa ampio uso di musica classica (Bach e Mozart), mentre la regia si richiama esplicitamente alla pittura del Rinascimento.
4. Uccellacci e uccellini (1966)
Uno dei lungometraggi più originali di Pasolini, nonché un film che avrebbe segnato un'importante fase di passaggio dalla compostezza drammaturgica e dal realismo dei suoi primi lavori verso un cinema più marcatamente allegorico e 'fantastico'. Presentato con grandi consensi al Festival di Cannes 1966, Uccellacci e uccellini è un'opera del tutto anticonvenzionale, capace di mescolare stili e linguaggi per elaborare una riflessione ironica e amara sullo scollamento fra la sinistra italiana e le esigenze della classe proletaria (all'interno del film, fra l'altro, Pasolini mostra le immagini del funerale di Palmiro Togliatti). A dividere la scena, entrambi in un doppio ruolo (un "racconto nel racconto"), sono il diciassettenne Ninetto Davoli, altro attore scoperto e consacrato da Pasolini, e un inedito Totò, qui in uno dei ruoli più importanti della sua carriera, accompagnati entrambi da un corvo parlante che professa idee di tipo marxista.
5. Edipo Re (1967)
Una delle grandi passioni di Pasolini, quella per il teatro greco, è confluita, oltre che nella sua produzione drammaturgica, anche nella sua scrittura per il cinema: è così che, nel 1967, il regista bolognese realizzò una trasposizione per il grande schermo di Edipo Re, con Franco Citti nel ruolo principale e Silvana Mangano in quello di Giocasta. Presentato al Festival di Venezia di quell'anno, il film recupera eventi e personaggi della tragedia di Sofocle secondo un sincretismo che fonde insieme i miti e gli archetipi del teatro antico con elementi mutuati dalla psicanalisi e, in filigrana, una riflessione socio-culturale sul contrasto fra classicismo e modernità (non a caso il prologo della pellicola è ambientato negli anni Venti). Il dittico basato sul teatro greco sarebbe stato completato, nel 1969, da Medea, adattamento della tragedia di Euripide con protagonista Maria Callas.
6. Teorema (1968)
Fra Uccellacci e uccellini e il successivo Porcile si colloca Teorema, un altro film in cui Pasolini mette in scena in chiave allegorica la società italiana del proprio tempo. Si tratta di una delle opere più originali e affascinanti del cinema pasoliniano (declinata contemporaneamente pure in forma di romanzo), ma anche di una delle più controverse, con accuse di oscenità per gli espliciti contenuti sessuali e il rischio di messa al bando per il film, fino all'assoluzione di Pasolini da parte del Tribunale di Venezia. L'attore inglese Terence Stamp è un giovane e misterioso ospite che si stabilisce nella villa di una famiglia dell'alta borghesia milanese, seducendo sia i due coniugi, l'industriale Paolo (Massimo Girotti) e sua moglie Lucia (Silvana Mangano), sia i loro figli. L'Eros, in Teorema, diventa quindi una pulsione vitalistica in grado di abbattere le sovrastrutture sociali e di annientare le costrizioni e i tabù imposti dalla mentalità borghese. Laura Betti, amica e collaboratrice di Pasolini, ottenne la Coppa Volpi come miglior attrice al Festival di Venezia 1968 per la parte di Emilia, la domestica della famiglia.
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7. Il Decameron (1971)
Il più grande successo di pubblico nella carriera di regista di Pier Paolo Pasolini è la sua trasposizione di dieci novelle del Decameron di Giovanni Boccaccio, ricollocate dalla Toscana nel Napoletano, regione in cui, secondo Pasolini, si esprimono maggiormente la genuinità e la naturalezza istintuale di un popolo non oppresso dalle strutture sociali. Osteggiato dalla censura e dai benpensanti per l'alto tasso di sequenze erotiche e di nudi integrali, Il Decameron si aggiudicò l'Orso d'Argento al Festival di Berlino 1971 e riempì le sale grazie alla sua vivacissima e smaliziata messa in scena di alcuni racconti di Boccaccio, fra cui le novelle di Andreuccio da Perugia (Ninetto Davoli), di ser Ciappelletto da Prato (Sergio Citti) e dell'"usignolo". Pasolini ritagliò per se stesso il ruolo dell'allievo di Giotto, che si pone il quesito: "Perché realizzare un'opera quando è così bello sognarla soltanto?".
8. I racconti di Canterbury (1972)
Subito dopo Il Decameron, Pasolini proseguì la sua cosiddetta Trilogia della vita con l'adattamento per il cinema di un'altra celebre raccolta di novelle della letteratura europea del Trecento. Ne I racconti di Canterbury, il regista bolognese riproduce infatti otto brevi storie dello scrittore Geoffrey Chaucer (che compare nel film interpretato proprio da Pasolini), narrate da una compagnia di pellegrini in viaggio verso Canterbury, secondo gli stessi principi guida de Il Decameron: l'esaltazione giocosa dell'astuzia popolaresca, e in particolare dell'Eros, in un film che regala anche parentesi fantastiche e surreali (l'episodio finale del frate condotto all'inferno, al cospetto di Satana). Premiato con l'Orso d'Oro come miglior film al Festival di Berlino 1972, I racconti di Canterbury fu oggetto di ulteriori polemiche in Italia, dove la Procura di Benevento lo tenne sotto sequestro per un anno.
9. Il fiore delle Mille e una notte (1974)
A completare la "Trilogia della vita" fu un altro film a episodi basato su una raccolta di racconti della letteratura del passato: Il fiore delle Mille e una notte. La vicenda del giovane arabo Nur ed-Din e della sua amante, la schiava nera Zumurrùd, diventa la cornice narrativa per una struttura a incastro in cui si incasellano di volta in volta altre storie, sempre legate dal fil rouge di una sessualità vissuta liberamente, senza tabù né costrizioni. Rispetto ai due precedenti capitoli della trilogia, Pasolini sottolinea il carattere fantastico e visionario delle novelle, nonché la fascinazione esotica delle ambientazioni e il tema al cuore del film: la celebrazione dell'Eros, in tutte le sue possibili espressioni, come strumento di rivalsa contro la morte. Presentato al Festival di Cannes 1974, Il fiore delle Mille e una notte ottenne il Gran Premio della Giuria.
10. Salò o le 120 giornate di Sodoma (1975)
Il testamento cinematografico di Pasolini, e insieme la sua opera più estrema e scioccante, ritenuta da molti l'apice del suo itinerario cinematografico. Totale ribaltamento della "Trilogia della vita", Salò o le 120 giornate di Sodoma si ispira a Le 120 giornate di Sodoma del Marchese de Sade ricollocando però il racconto durante la Repubblica di Salò, nel cuore del regime fascista. Se i tre film precedenti costituivano un'apologia del sesso e del vitalismo di matrice popolare, in questa pellicola perfino l'Eros diventa uno strumento nelle mani del Potere: un Potere abietto e spaventoso, incarnato da quattro Signori (le quattro facce del potere nobiliare, ecclesiastico, giudiziario ed economico) che, negli ultimi mesi della guerra civile, rinchiudono in una villa isolata decine di ragazzi e ragazze, sottoposti a torture fisiche e psicologiche per il godimento dei Signori, fra scatologia, sadismo e violenza, fino a culminare nell'assassinio.
Allucinante apoteosi dell'orrore, nel segno di una feroce degradazione dell'essere umano, Salò o le 120 giornate di Sodoma rimane tutt'oggi un'esperienza cinematografica sconvolgente, in cui la riflessione sul rapporto fra l'uomo e la Storia raggiunge vette di pessimismo forse mai toccate fino a quel momento. Proiettata per la prima volta tre settimane dopo l'omicidio del suo autore, questa agghiacciante opera postuma subì lunghissime traversie giudiziarie, e costituisce una delle più efficaci testimonianze della forza dirompente e rivoluzionaria del cinema di Pasolini.