Un giorno da Leo
Leo è un avvocato che non lavora più da quando l'amico e socio Mario ha dovuto chiudere le studio. Sulla loro stessa barca ci sono anche Elsa, la loro segretaria, e Pablo. Insieme hanno 'brevettato' un passatempo per ammazzare il tempo e impedire che la noia li travolga: salire sui terrazzi delle case e bighellonare prendendo il sole, bevendo litri di birra, fumando canne e dedicandosi a oziose riflessioni sulla vita. Giorno dopo giorno però anche quella sensazione di apparente libertà finisce col diventare opprimente e Leo si trova a rivedere tutta la propria esistenza, rendendosi conto di non aver mai dato peso ai suoi reali desideri. Non può fare a meno di chiedersi se fosse davvero quello il mestiere che amava o se invece non avesse scelto la via più facile per diventare uno dei tanti con un bel completo, un conto in banca cospicuo e una bella mogliettina. L'incontro con Nachete, vecchio compagno di scuola diventato imprenditore agricolo, gli fa aprire gli occhi, spingendolo a riconsiderare anche il rapporto con la propria compagna, Ana.
Dalla radio arrivano notizie tragiche. La disoccupazione in Spagna tocca livelli mai visti, quasi cinque milioni di persone sono senza lavoro e quando si è senza lavoro, dice una delle protagoniste di Terrados, si è privi di un diritto fondamentale. Divertente e godibile, a dispetto della tragicità del messaggio di cui si fa portatore, il film dell'esordiente Demian Sabini, presentato in concorso al Torino Film Festival sa essere vero senza alcuna oppressione, anche se in certi momenti questa leggerezza diventa superficialità, o meglio incapacità di entrare nel merito dei discorsi affrontati. Non è un delitto (anzi) che si sia scelto un punto di vista diverso per parlare di disoccupazione e non solo a patto però di non banalizzare l'assunto. Sabini parte da uno spazio ben preciso, il terrazzo, quel luogo/non-luogo che protegge i protagonisti, che permette loro di ignorare il mondo, che li mette in alto rispetto a tutti. Si tratta di un'escamotage narrativo e visivo che ha una sua fondatezza e che permette al film di muoversi in una dimensione diversa, estremamente realistica ma anche trasognata. Con una serie di flashback che mostrano la vita di Leo, interpretato dallo stesso regista, scopriamo poco alla volta le tappe che hanno portato a quella bizzarra decisione di farsi 'fuori' dal mondo, per difendersi dal marciume della società. Avvocato integerrimo, Leo approfitta del licenziamento per farsi crescere la barba, altro elemento iconico che assume importanza nel racconto, trasformando quella decisione in una sorta di ribellione al sistema, scelta che dà vita alla sequenza più divertente del film, quella del colloquio di lavoro presso un prestigioso studio legale di Barcellona che respinge Leo per il suo aspetto trasandato; quando il ragazzo torna sui suoi passi e si ripresenta in ufficio ripulito, fa scena muta in maniera abbastanza puerile. Si fa spesso un abuso del termine crisi, svuotandolo del suo significato profondo, cioè di separazione, svolta, passaggio obbligato; crisi nel film di Sabini è non sapere più chi si è, quell'attimo di smarrimento che non si sa controllare. Succede quando il lavoro diventa l'unica parte integrante della propria identità. Terrados ispira simpatia e non solo perché ci si può riconoscere nei patimenti dei protagonisti, ma perché affronta un tema di attualità con un piglio fresco e brioso Eppure la sensazione che il film dà è quella di aver assistito ad un gioco fatuo, insoddisfacente. La sostanza, il cuore del film, ossia il bisogno del protagonista di esserci davvero, di assecondare i propri sogni, rifiutandosi di scegliere solo quello che conviene, si svela (poco e male) solo alla fine, quando è tardi per scoprire che ne sarà di Leo e dei suoi amici.Movieplayer.it
3.0/5