Recensione Main dans la main (2012)

Dopo lo strepitoso La guerra è dichiarata, la regista e attrice francese torna al lavoro con una storia che ne mette in risalto le doti di narratrice, alle prese con un amour fou quasi impossibile da 'spiegare'.

In due

Rieccoli gli innamorati folli. E non sono mai stati tanto folli e belli come i protagonisti del nuovo film di Valerie Donzelli, Main dans la main, presentato in concorso al Festival Internazionale del Film di Roma. Hélène e Joachim non hanno nulla in comune. Lei è responsabile della prestigiosa scuola di danza del Teatro dell'Opera di Parigi, lui è un modesto artigiano (costruisce specchi) che vive con la sorella e il cognato in un paesino alle porte di Parigi, il luogo dove nascono le Madeleine. Eppure, quando si incontrano per la prima volta, qualcosa scatta. Lui sale le scale a chiocciola per cercare il posto in cui dovrà sostituire uno specchio, lei piange disperata, non si sa bene per cosa. Non è il canonico colpo di fulmine ad avvicinarli, ma una specie di potente magnetismo che li trascina l'una verso l'altro, che li spinge a baciarsi e, dopo quel primo contatto, a rimanere legati. Dove va Joachim, va anche Hélène, se la donna alza il braccio destro, l'uomo risponde nella stessa maniera. Una reazione chimica che nessun medico e neanche un ipnotizzatore sa risolvere. Il loro rapporto diventa così giorno dopo giorno qualcosa di speciale, una relazione che sprigiona un'energia quasi inesauribile. Quel genere di energia che li separa dalle rispettive famiglie, una spinta altrettanto forte e potente a quella che li ha uniti. Joachim lascia la sorella Vero, amabile ma forse troppo presente ed esigente nei confronti del fratello, mentre Hélène si stacca dall'amica di sempre Constance, opprimente e pesante nelle sue continue richieste di attenzione. Ma per essere davvero una coppia, anche loro dovranno imparare a separarsi ("Ci sono coppie che non lo fanno mai", dice Constance a Joachim in uno dei dialoghi più belli del film). Lo fanno con un bacio. Che si rivela l'anticipazione di un nuovo riavvicinamento.

Dopo lo strepitoso La guerra è dichiarata, dramma biografico che raccontava senza pietismi la malattia del figlio, la regista e attrice francese (qui recita la parte di Vero, la sorella di Joachim) torna al lavoro con una storia iperbolica che ne mette in risalto le doti di narratrice, perfino al cospetto di un 'amour fou' impossibile da 'spiegare' anche per le voci off dei protagonisti che accompagnano le immagini del film. La Donzelli raccoglie tutti i clichè della commedia sentimentale, li sovverte e li mostra senza remore, nel loro contenuto più profondo. Se gli innamorati sembrano camminare ad un metro da terra e finiscono per somigliarsi a tal punto da perdere la propria identità, perché non concretizzare questo concetto e non farli muovere insieme, come se fossero allo specchio? I protagonisti si muovono all'inizio con una buffa sincronia, che li rende simili ai personaggi di un cartoon di Tex Avery (guarda caso Constance legge un libro dedicato al celebre fumettista); poi ognuno trova un proprio ritmo e anche il film si fa più intimo, più sommesso, a fronte di una prima parte davvero esilarante.
Jérémie Elkaim (anche sceneggiatore assieme alla Donzelli e a Gilles Marchand) e Valerie Lemercier sono davvero perfetti nel rendere visibile la bizzarra simpatia che unisce i rispettivi personaggi, travolti da un desiderio inspiegabile. C'è sì un certo romanticismo in questa operazione, ma non è quell'affettato sentimentalismo che sa di stantio e colora di rosa una storia con poca sostanza. Anzi, diventa un propellente formidabile per le sequenze 'coreografate' che, nella loro semplicità, dicono sul rapporto tra un uomo e una donna più di qualunque altra dissertazione. Dicono ad esempio che i due per (ri)trovarsi hanno dovuto rompere altre coppie, con un movimento sinuoso ma netto; che il passo successivo è stata la loro nuova nascita individuale; meravigliosa in tal senso la sequenza che vede la Lemercier denudarsi davanti al nuovo Ministro della Cultura che le dà il benservito. Valerie Donzelli si conferma quindi cineasta di grande livello, capace di usare al meglio tutti i mezzi a disposizione del cinema, compreso un uso mirato e appropriato della colonna sonora, per esaltare i suoi personaggi. Non è una 'teorica', un'artista che sacrifica la credibilità di una scena pur di 'dimostrare' la propria visione del mondo; al contrario la bellezza delle sue storie risiede nell'attenzione profonda e continua che sa dedicare agli esseri umani, creature che sa sentire e 'leggere' prima di raccontare.

Movieplayer.it

4.0/5