Recensione Itaker - Vietato agli italiani (2012)

Attraverso gli occhi asciutti e lo sguardo acuto del suo protagonista, Tropia parla al pubblico, chiedendogli di seguirlo all'interno di un'avventura che, pur non avendo una forma innovativa, si rivolge ad ognuno in modo diretto e del tutto personale.

Italiani popolo di santi, poeti ed emigranti

Nel 1960 gli italiani diretti verso le fabbriche della Germania ammontavano già a più di novantaquattro milioni, formando quell'esercito di immigrati pronti ad affrontare un "soggiorno temporaneo e prolungato" che, per molti, si è trasformato in definitivo. A spingere tutta questa manovalanza fuori dal proprio paese è, in modo particolare, la necessità di affrontare a testa alta la ricostruzione del dopo guerra e il nuovo boom economico. Ad attenderli, però, non ci sono solamente condizioni di lavoro discutibili nei settori più disagevoli come le miniere, l'edilizia e l'industria pesante, ma anche una chiara discriminazione linguistica e culturale. Per lo più vittime di un mercato immobiliare iniquo e costretti a vivere in baracche adiacenti alle fabbriche, gli italiani vengono definiti dai tedeschi in modo spregiativo Spaghettifresser (mangiatori di spaghetti), Katzelmaker (fabbricacucchiai) e, naturalmente, Itaker (italianacci) termine che Toni Trupia ha preso in prestito per il titolo del suo secondo lungometraggio in cui racconta le difficoltà attraversate dal piccolo Pietro proveniente dal Trentino e dal guitto Benito per ritrovare un'identità, se non nazionale, almeno familiare. Prendendo come elementi fondamentali della narrazione queste due figure, il regista costruisce il percorso di un paese tutto unito, da nord a sud, nell'esperienza della migrazione cancellando differenze e diffidenze regionali nel nome di una comune condizione di estraneità.


Lo sfondo su cui Trupia mette in scena il dramma sempre moderno dell'emigrazione è il confine circostante delle baracche dormitorio che, minacciate costantemente dall'imponenza delle ciminiere e dai rumori senza sosta dei macchinari, definisce la vita e l'instabilità emotiva di chi, lontano dalla propria casa per troppo tempo, perde lentamente consapevolezza di se stesso e di chi è rimasto ad attenderlo. Ed è proprio questa umanità un po' disorientata, ma non completamente sconfitta, che accoglie Pietro al suo arrivo a Bochum al seguito di un sempre più infastidito Benito. Rimasto orfano di madre, il ragazzo viene inviato dal parroco del paese alla ricerca di un padre partito molti anni prima per la Germania e mai più ritornato. Sparito nel nulla e chiaramente disinteressato alla sua famiglia originaria, l'uomo non manda notizie e soldi, per questo motivo c'è bisogno di qualcuno disposto ad accompagnare Pietro nella ricerca. Dal canto suo Benito è disposto a tutto, anche a mentire e a servizi di un bambino solo, pur di ottenere un nuovo passaporto e tornare indietro verso un'opportunità migliore di vita. Così, estranei l'un l'altro, i due iniziano un'avventura personale inaspettata che, oltre a raccontare il legame che nasce tra un "padre" putativo e un figlio per scelta, definisce con un certo realismo aggraziato e senza nessun pietismo, la condizione di un intero popolo migrante.

Un risultato che Trupia ottiene utilizzando lo sguardo del giovane Tiziano Talarico come filtro attraverso il quale far passare un mondo adulto complesso ma non incomprensibile. In questo modo la figura del ragazzo, quasi sempre utilizzato dal cinema come elemento debole cui designare ingiustizie e sofferenze, si spoglia del suo destino di vittima sacrificale e diventa parte attiva di tutta la narrazione. Osservatore, protagonista e testimone, il personaggio di Pietro ha il compito di raccontare gli uomini che lo circondano e di regalare alle loro azioni un tocco di innocente inconsapevolezza, tanto che, attraverso il suo punto di vista, anche la spavalderia mostrata da Benito assume un significato più poetico in cui si sommano il desiderio di rivalsa e l'orgoglio di un uomo innamorato. Così, attraverso gli occhi asciutti e lo sguardo acuto del suo protagonista, Tropia parla al pubblico, chiedendogli di seguirlo all'interno di un'avventura che, pur non avendo una forma innovativa, si rivolge ad ognuno in modo diretto e del tutto personale. Perché dietro la tematica migratoria, che dovrebbe portare ad una riconsiderazione dell'estraneo in questo preciso momento storico, Itaker - Vietato agli italiani propone soprattutto un viaggio iniziatico che tutti coinvolge verso la scoperta della libera scelta degli affetti ed una visione più definitiva della vita. Perché figli, padri e uomini consapevoli lo si diventa un passo alla volta.

Movieplayer.it

3.0/5