Mori, insegnante di liceo giapponese, torna dopo due anni di assenza in Corea, a Seoul. Qui, il giovane aveva conosciuto e si era innamorato di una collega di nome Kwon; questa, però, dopo aver avuto con lui una relazione, si era rifiutata di sposarlo. Ora, Mori ha deciso di ritrovare Kwon per reiterare la sua proposta; non trovandola nella vecchia casa, il giovane si mette alla sua ricerca per tutta la città, partendo dalla caffetteria chiamata "La collina della libertà", dove i due si erano conosciuti. Nel frattempo, Mori scrive alla donna una serie di lettere, in cui fa la cronaca della sua permanenza in città, delle persone che incontra e degli stravaganti eventi di cui è protagonista.
Tra questi, l'incontro con la simpatica gestrice di un bar, il cui cagnolino, appena fuggito, era stato ritrovato da Mori; e i surreali dialoghi con la proprietaria della pensione in cui alloggia, e con i suoi strampalati ospiti. Ma Kwon, quando infine rinviene le lettere lasciatele da Mori, accidentalmente fa cadere i fogli, che si sparpagliano a terra: non numerati, questi vengono letti dalla donna in ordine casuale. A Kwon resterà per sempre il dubbio su quale sia la reale cronologia dei fatti raccontati da Mori. Ma ciò, in definitiva, è davvero importante?
Lieve e riconoscibile
Tra i registi che, nel panorama sudcoreano, presentano nello stile una più netta riconoscibilità, c'è sicuramente Hong Sang-soo. Le tematiche di Hong, infatti, gli stilemi del suo cinema, i luoghi e i modi della messa in scena, tornano costanti di film in film: le pensioni, i caffè e le sbornie malinconiche, gli incontri casuali, gli amori fugaci, i tradimenti e i personaggi stralunati. Il regista si conferma interessato, ad ogni nuovo film, a mettere in luce la complessità delle relazioni umane partendo dal piccolo: scivolando sui suoi personaggi e sulle loro vicende, affrontandoli con leggerezza, quasi accarezzando lo spettatore con le loro storie. Ogni nuova pellicola sembra ribadire il legame del cinema di Hong con la Nouvelle Vague, e in particolare con cineasti quali Eric Rohmer e Philippe Garrel: autori, non a caso, anch'essi legati a motivi ricorrenti, e a variazioni minime su un nucleo di temi forti. In Hill of Freedom, la levità del tocco di Hong (che non significa superficialità) viene ribadita dalla durata: solo 66 minuti, un battito di ciglia cinematografico, il tempo di un amore "rubato" a due vite che vanno per conto proprio, probabilmente mai più destinate a reincontrarsi. Ma lo stesso tempo, ci dice il film, è concetto relativo, e passabile di interpretazioni diverse. Un incontro occasionale può perpetuarsi e sopravvivere all'oblio, e lo sfiorarsi di due personaggi può divenire contatto profondo e duraturo.
Anti-cronologia
La tesi di Hill of Freedom è scoperta, esplicita nelle sue basi: lo scorrere del tempo, come suggerisce il libro letto dal protagonista, non è che una costruzione della mente umana, un modo che il cervello utilizza per organizzare la realtà. Liberarsi della gabbia di una scansione cronologica degli eventi significa appropriarsi di ogni momento, perpetuarlo, dargli senso e sostanza a prescindere dalla sua durata. Per Kwon, il mezzo per raggiungere questo scopo è lo sparpagliamento casuale di un fascio di fogli, e il loro altrettanto casuale riassemblaggio; per Mori, il ritorno su un luogo del passato, il riannodare un filo interrotto, la prosecuzione di una vicenda inframezzata da una parentesi; per il regista, il cinema e la sua capacità di spaziare, senza soluzione di continuità, tra passato e presente. La "sfida al tempo" del film di Hong non è legata (esclusivamente) all'ordine di lettura delle lettere da parte di Kwon: la voce fuori campo di Mori racconta gli eventi mentre si verificano, dice di trovarsi sull'aereo mentre scrive, e nella sequenza successiva narra gli eventi al presente, si alterna al racconto della donna e alla messa in scena della sua vicenda, chiama lo spettatore a costruirsi un suo percorso di lettura delle immagini. O, più semplicemente, ad abbandonarsi al loro flusso, libero e per questo più immediato e godibile.
Il potere dello spettatore
Il punto di forza di Hill of Freedom, film "piccolo" ma importante, sta nell'aver affrontato questi temi senza sovraccaricarne la narrazione: al contrario, anche in questo caso, Hong suggerisce, sfiora lo spettatore con le vicende che racconta, lascia che questi colga i differenti livelli di lettura del film, o semplicemente se ne lasci attraversare. Il regista sudcoreano sembra ribadire, col suo film, l'importanza del cinema come veicolo per il racconto di storie quotidiane, di vicende ordinarie che si fanno emblema di temi dalla portata più generale; ma, oltre a questo, Hong sottolinea il diritto dello spettatore a fruire di un film come meglio crede, a orientarsi nelle sue immagini secondo il suo gusto, a ricostruirle come più ritiene opportuno, a partire dalla loro stessa scansione temporale. La riflessione metacinematografica, che torna spesso nei film del regista, è presente in nuce anche qui; meno esplicita, anch'essa lasciata alla libera disponibilità del ricevente, alla sua scelta di coglierla in modo più o meno consapevole.
Conclusioni
Hill of Freedom ribadisce tutti i temi (e i debiti) del cinema di Hong, ne conferma la gioiosa leggerezza, ma anche la sostanza; con la scelta del suo modo di narrare, aggiunge materiale ai motivi classici del regista, e soprattutto non compromette il piacere della fruizione. Un risultato, certamente, da non sottovalutare.
Movieplayer.it
4.0/5