Recensione Dernier étage gauche gauche (2010)

Nella sua pellicola d'esordio, il francese Angelo Cianci dà vita a un divertente e sofisticato intreccio in cui sequestrato e (improbabili) sequestratori finiscono per scoprire di non essere poi così diversi, e che la linea che separa i buoni dai cattivi è spesso tracciata con un po' troppa approssimazione.

All'ultimo piano, a sinistra, c'è un uomo come te

A volte, un incontro può davvero cambiarci la vita. Farci scoprire cose di noi stessi che non conoscevamo, farci crescere, farci migliorare. Non sempre si tratta di un appuntamento romantico, però. Può capitare che l'incontro in questione sia quello tra un ufficiale giudiziario e l'uomo di cui deve eseguire lo sfratto, o quello tra quest'uomo e suo figlio che, pur abitando insieme, non si sono mai conosciuti veramente. Condendo il tutto con umorismo e un po' di critica sociale si ottiene Dernier étage gauche gauche, debutto sul grande schermo del francese Angelo Cianci che costruisce una situazione al limite del surreale per parlare, con ironia ma anche grande onestà, di una certa banlieue stereotipata e appiattita nell'immagine che ne suggeriscono i mass media.

Siamo in un complesso di case popolari, e il rampante François Echeveria (Hyppolyte Girardot) si appresta a notificare uno sfratto esecutivo al signor Mohand (Mohamed Fellag): di certo, però, non si aspetta di essere preso in ostaggio dal figlio Aki (Aymen Saïdi), che nasconde in casa un chilo di cocaina per conto dello spacciatore del quartiere, e non ha la minima intenzione di andare in galera perché quello smidollato del padre non sa far quadrare i suoi conti. Non che Aki sia veramente il duro che vuol far credere di essere, e se si aggiunge a questo la reticenza del padre nel prendere parte al sequestro, è evidente come la cattività di François non sarà gestita nel più classico dei modi. Alle prese con rubinetti che perdono, matrimoni che si sfasciano e segreti di famiglia che riemergono dal passato, i tre protagonisti di questa disavventura costituiscono un triangolo bizzarro, capace di dare vita ad un intreccio di rapporti coinvolgente e tutt'altro che prevedibile.

Il regista esordiente è abile nell'orchestrare un susseguirsi di fragili alleanze tra i suoi personaggi, capovolgendo continuamente gli equilibri di potere che, a differenza di quanto avviene in un normale sequestro, non è sempre dalla parte dei non-imbavagliati. E così, vediamo François e Mohand coalizzati contro il turpiloquio del figlio, a deprecare la maleducazione delle giovani generazioni, Aki e François contro la rassegnata mollezza di Mohand, Aki e Mohand contro il perbenismo ipocrita di François, che si ritiene a posto con la coscienza promettendo un aiuto che né lui né le istituzioni hanno intenzione di offrire. Questo scambio di ruoli è possibile grazie ad un'attenta costruzione dei personaggi, che non sono mai banali o monocorde, ma anzi svelano un'emozionante umanità. Una volta andati oltre il suo essersi presentato come un nemico, padre e figlio sapranno vedere la sofferenza di François per il proprio matrimonio che va in pezzi, così come Aki dimostrerà una gratitudine e un rispetto per il padre che non riusciva a filtrare oltre il suo usuale atteggiamento scostante e distaccato, e Mohand saprà liberarsi di una verità pesantissima, e dal senso di colpa che lo dilaniava.

Nel microcosmo domestico, la vicinanza forzata annulla le differenze e le diffidenze che separavano i protagonisti, e li coalizza contro un mondo esterno, quello del prefetto, quello dei giornali, sempre pronto a cercare la risposta più semplice, ad ignorare la singola storia per l'esigenza di ridurre tutto a uno schema predefinito e che risponda ai parametri attesi: codice rosso, terrorismo, rivolta sociale. Come a François, allo spettatore viene offerta la possibilità di guardare aldilà dello stereotipo: e non a caso, una volta passato oltre la barricata e subite sulla propria pelle le conseguenze dello stare dall'altra parte, sarà lui il primo a ribellarsi al sistema. Ciò che rende importante Dernier étage gauche gauche è proprio il mettere in luce, con garbo e ironia, che la realtà è spesso ben diversa da quella che ci si aspetta, e che, scavalcando le barriere che ci creiamo da soli, per comodità o paura, spesso troviamo semplicemente altri esseri umani, con le loro miserie e le loro speranze.

Movieplayer.it

3.0/5