Recensione Chocó (2012)

Non è solo la costruzione dei piani a risultare interessante o la capacità di illuminare in maniera appropriata i paesaggi colombiani, ma è soprattutto il modo di portare avanti il racconto della storia di Chocó.

Un compleanno da ricordare

Non c'è alcun traguardo che una madre non possa raggiungere per il bene di un figlio e la molla che spinge Chocó a superare ogni difficoltà, pur di vedere sorridere la propria bambina, è tanto grande da permetterle di riconsiderare tutta la sua vita. Sposata ad un perdigiorno che diventa violento dopo qualche bicchiere di troppo, madre di Jeffrey e Candelaria, Chocó vive in un piccolo paese colombiano, in una capanna sugli argini di un fiume, un luogo inospitale protetto da una foresta rigogliosa e dalle montagne; quando il consorte perde il posto di lavoro e lei stessa è costretta a rinunciare allo stipendio di cercatrice d'oro, la donna decide di rimboccarsi le maniche pur di permettere alla secondogenita di festeggiare degnamente il settimo compleanno con una torta. Non possedendo il denaro sufficiente ad acquistare il dolce, Chocó fa i conti con la rozzezza di certi uomini e la gentilezza di altri, prova a non farsi intaccare dalla violenza che la circonda, ma quando si trova a mettere in atto una separazione necessaria per continuare a vivere, sceglie un metodo poco ortodosso.


Nel cuore di un mondo lontano
Jhonny Hendrix Hinestroza sa come usare la macchina da presa e lo si capisce da ogni singola inquadratura del suo film d'esordio, Chocó, presentato nella sezione Panorama alla Berlinale 2012 e vincitore del premio del pubblico al Festival di Cartagena dello stesso anno. Bene ha fatto quindi la CineClub Internazionale Distribuzione di Paolo Minuto ad assicurarsi quest'opera che si rivela come un singolare spaccato di una realtà umana così distante come quella del dipartimento di Chocó. Oltre ad essere il nome della protagonista, infatti, questo è anche l'appellativo della regione in cui è ambientata la storia e a giudicare dalla profonda connessione tra persona e 'habitat', entrambi sfacciatamente belli, ma deturpati nel profondo, ci sentiamo autorizzati a pensarli come un tutt'uno. Incastonato nella foresta pluviale, questo luogo remoto è uno dei più poveri della Colombia, sebbene ricco di risorse naturali, amministrate spesso e volentieri in maniera poco oculata. Cresciuto in questo contesto, Hendrix Hinestroza dimostra di conoscere bene questa realtà ed è quindi efficace nel restituirla sul grande schermo.

La lotta di una madre
Non è solo la costruzione dei piani a risultare interessante o la capacità di illuminare in maniera appropriata i paesaggi colombiani (la fotografia è di Paulo Pérez), ma è soprattutto il modo di portare avanti il racconto della storia di Chocó (una radiosa e sensuale Karent Hinestroza). E' grazie al movimento dei personaggi che il realismo della messa in scena non diventa mai fotografico; pur non essendo pervaso da quel sottile brivido della ricreazione 'fantastica', l'insieme del film diventa armonioso e morbido attraverso le mosse inaspettate, i primi piani inattesi, la dolcezza della colonna sonora costruita su ritmi tribali, i colori. Impossibile non notare il giallo che illumina la protagonista e i suoi figli, una luce che la accompagna nei suoi percorsi spericolati, sui ponti sospesi che la portano in città o tra le foglie della foresta.
L'oro di Chocó
E' un prodotto semplice, quindi, che però attraverso un approccio per nulla intellettualistico o militante riesce a descrivere con una certa accuratezza le dinamiche interne di una società non toccata dalla tecnologia, in cui le uniche fonti di ricchezza, le miniere d'oro inquinate dal mercurio, sono quelle che rischiano di uccidere le persone e in cui è estremamente sentito il problema razziale, che pone gli afro-colombiani ai margini ("Dio ha dato ai bianchi la sua penna, ma ai mulatti ha dato il suo bastone", recita il testo di una canzone che intona un gruppo di donne). Chocò è dunque un film piccolo, ma non per questo meno interessante o ricco di spunti di riflessione; il discorso sull'identità femminile e sulla condizione socialmente e culturalmente svantaggiata delle donne, in ambiti molto ristretti com'è la comunità in cui vive Chocó, è trattato con delicatezza e attenzione ai dettagli. L'epilogo forse ci lascia un po' interdetti, con una chiusura che forse fa a pugni con la delicatezza della protagonista e che sembra valutare certe decisioni come le uniche possibili in una società in cui il rapporto uomo-donna quasi mai è legato al desiderio, alla scoperta reciproca, ma è basato invece su sopraffazione e brutalità. Non sarà così, speriamo, per Jeffrey che ha imparato ad essere diverso dal suo papà o per la piccola Candelaria che sogna una torta al giorno, un compleanno da festeggiare sempre.

Movieplayer.it

3.0/5