Quale castigo?
Dopo il deludente Persona non grata di due anni fa, Krzysztof Zanussi sceglie di trasferirsi in Italia per dirigere una struggente storia d'amore, morte e vendetta, tratta da una piece teatrale di Rocco Familiari, opportunamente ritoccata per il trasferimento sul grande schermo. L'Italia, però, non deve aver poi fatto così bene al regista polacco se, imbambolato dalla bellezza accecante di una Sicilia perennemente baciata dal sole, finisce col perdere presto le redini di un racconto che, tra vaneggiamenti, visioni ed aforismi vaganti, arriva claudicante al finale senza aver praticamente detto nulla. La storia attorno alla quale ruota Il sole nero è quella di Agata e Manfredi, una coppia di freschi sposi, ricchi ed innamorati, che passa le giornate al sole a giurarsi amore eterno, mentre pochi metri più in là della loro sfarzosa villa un uomo trasformato in mostro dalla droga e dalla miseria sopravvive lontano dal mondo, abbracciato ad un fucile in un tugurio dove lascia scatenare la propria violenza nei confronti del fratello più piccolo. Da quel fucile partirà un colpo fatale per Manfredi, un proiettile che lo raggiungerà alla testa, uccidendolo sul colpo e consegnando sua moglie ad una disperazione dalla quale non riuscirà mai a risollevarsi.
Toni da tragedia (magna-)greca e grandi temi messi a cuocere sotto il sole in questo nuovo lavoro di uno Zanussi ancora spento: la contrapposizione tra il Bene e il Male, lo squilibrio tra Poveri e Ricchi, l'Amore estremo, il dramma dell'elaborazione del lutto, la vendetta. Il problema è che quando alla base di un film ci sono argomenti così maiuscoli si rischia spesso il fallimento, con il ridicolo sempre in agguato dietro l'angolo, dentro ogni battuta con contorni da sentenza. Il regista riesce in qualche modo a contenere il patetico dello script e tiene in piedi il film limando gli eccessi di personaggi che rischiano in ogni momento di andare fuori controllo, ma la sensazione alla fine è quella di non essere arrivati da nessuna parte, con una vendetta consumata a metà, un suicidio solo accidentale, un ritorno alla vita mancato. Troppo ostentato il misticismo di una storia giocata tra angeli splendenti e angeli decaduti, tra chi nella vita ha tutto e chi invece affonda inesorabilmente nel niente, sbranato da una brutalità amplificata dal dolore. Difficile provare simpatia per una parte o per l'altra, faticoso sopportare un continuo sgocciolio di frasi tra virgolette che fuori dalla cornice teatrale perdono mordente e scadono nell'enfasi immotivata.
Di fronte ad una morte improvvisa e gratuita, l'inconsolabile vedova si ritrova continuamente a parlare da sola, rivolgendosi all'amato defunto, mentre il regista si lascia andare a ripetute, e francamente inutili, visioni del ragazzo morto che ancora si aggira per casa. Agata non confida nella giustizia, sa bene che l'assassino di suo marito (e, come da promessa, della sua stessa vita) non avrà il castigo che merita e non riesce ad accettare l'idea di consegnare quell'uomo ad una giustizia che non vendicherà quella morte così ingiusta. Il suo desiderio di vendetta si sposerà col bisogno di raggiungere il proprio amato, ma alla fine le casualità avranno la meglio ed eviteranno così colpe più gravi ed ingiustificabili per una Chiesa che come al solito alita pesante sul collo dei credenti. Davvero poca roba per farne un buon film, ma i paesaggi siculi che ospitano il lavoro di Zanussi (Catania e Siracusa per l'esattezza) sono talmente incantevoli che risolvono Il sole nero quantomeno in un gran bel vedere. Splendida poi Valeria Golino che mostra coraggiosa la sua nudità imperfetta, soprattutto perché accostata all'armonia di un corpo più giovane come quello di Lorenzo Balducci, che ci fa piacere ritrovare sullo schermo dopo il bel Gas di Luciano Melchionna.