Un'uscita in sordina, si parte solo con il cinema Nuovo Aquila di Roma, con la speranza di 'contagiare' altre sale, per un film, Penultimo paesaggio di Fabrizio Ferraro, ambizioso e nettamente diverso dalle proposte cinematografiche correnti, un'opera che rispecchia fedelmente la cifra stilistica di un autore noto per i documentari Je suis Simone (La condition ouvrière) e Malgrado tutto, coraggio Francesco!. Coraggio o incoscienza, il confine è molto sottile, va dunque premiato lo sforzo della Movimento Film nel sostenere questa 'operazione di trincea', come detto dal responsabile, Mario Mazzarotto, frutto degli investimenti, tra gli altri, di Rai Tre - Fuori Orario. E al Nuovo Aquila abbiamo incontrato questa mattina il regista del film e i due interpreti, Luciano Levrone e Simona Rossi, due persone che si incontrano a Parigi, intrecciando una relazione. Chiusi nell'appartamento dell'uomo, i due si trovano a vivere il loro legame in un contesto apparentemente asettico, ma il loro reciproco esplorarsi travalica i confini della casa per estendersi alle strade e alle piazze della Ville Lumière, un città che diventa a sua volta protagonista della pellicola, anche grazie alle splendida colonna sonora che comprende brani di Vivaldi e musiche del trombettista Paolo Fresu.
Fabrizio, questo non è comunque un film di facile impatto sullo spettatore... Fabrizio Ferraro: Lo scorso anno, sempre in questo cinema, in una sala veniva proiettato Harry Potter e in un'altra il mio documentario Malgrado tutto, coraggio Francesco!. La sala era pienissima. Questo vuol dire che qualcosa sta avvenendo, qualcosa sta cambiando. Magari si perdono dei pezzi, ma ne acquistano altro. E lo stesso discorso lo posso fare anche per altri lavori coraggiosi che hanno avuto un seguito. Ammetto che sono stati anni duri, ma adesso la vetrina si è rotta ed è stato possibile perché c'è gente che resiste alla violenza soporifera di certe immagini. Oggi non si ascolta nemmeno la musica, non si riescono ad apprezzare le mille variazioni di un motivo. Sarebbe stato comodo forse avere una vetrina festivaliera per promuovere il film, ma sentivo una certa urgenza. Il film entra in meccanismi che recuperano gli alti sensi della visione che abbiamo perso.Come mai hai scelto Parigi come ambientazione del tuo film? Fabrizio Ferraro: In realtà, nonostante l'apparenza internazionale, il film è molto più legato all'Italia di quanto si possa pensare e anche se i protagonisti hanno voglia di dimenticare l'italiano. Ho scelto Parigi perché in un film senza alcun appiglio narrativo, lo sfondo piano piano diventa il contraltare dei personaggi, un protagonista aggiunto. In Parigi lo sviluppo urbanistico della città è legato ai rapporti di classe, alle relazioni interpersonali.
Il tuo è un cinema di immagini, in cui la storia vera e propria sembra non avere un peso essenziale... Fabrizio Ferraro: Certo. Il cinema non è letteratura ma è fatto di immagini, è un prolungamento materiale della relazione della vita, costruiamo dei mondi. Non è tanto importante seguire una storia, quanto avere i sensi vivi per comprendere cosa avvenga dopo. Ecco perché con gli attori abbiamo lavorato di sottrazione e non esteriorizzando la psicologia. Avrei potuto scritturare attori più conosciuti, ma sarebbe stato poco interessante, perché nelle scuole di recitazione ti insegnano ad occupare lo spazio e non a farlo sentire nella sostanza, nell'essenza.Quanto è stato difficile per voi attori lavorare con un approccio così diverso?
Simona Rossi: Difficilissimo, visto che nessuno dei due è un attore professionista. E' stato come mettersi in gioco, un processo che trasformava tutti e tre. Alla fine siamo noi sulla scena, ma tutti siamo stati coinvolti e se così non fosse stato non ci sarebbe stato quello che si vede.
Luciano Levrone: In questo caso però il merito è tutto del regista.