Pacific Fear, recensione: survival horror tra surf, paradisi polinesiani e creature radioattive

Quattro ragazze si avventurano su un'isola sperduta e misteriosa per fare surf, ma sono incaute e ad attenderle c'è una brutta sorpresa che le trascina in un incubo. Su Prime Video.

Un artwork di Pacific Fear

Quattro belle ragazze su un'isola sperduta per fare surf alle prese con creature che hanno subìto una misteriosa trasformazione. Un survival horror? Si certo, ma definirlo solo così potrebbe essere limitativo, perché in realtà Pacific Fear, film ambientato nella Polinesia francese e diretto da Jacques Kluger (quello di Play Or Die - Gioca o muori) e appena approdato in streaming su Amazon Prime Video, vorrebbe essere molte cose, senza però riuscire a metterne a fuoco nessuna in particolare.

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Per una delle protagonista si profila una minaccia all'orizzonte

La visione ci porta a un folle percorso al quale non manca certo il ritmo, una frenetica giostra di violenza crescente ma senza tanto sugo, che ha la colpa di essere messa in scena in modo raffazzonato ed è raccontata in maniera discutibile e soprattutto poco incisiva, percorrendo tutti gli scontati cliché del genere e infarcendoli di richiami. Ma che almeno ha il pregio di essere breve, poco più di un'ottantina di minuti.

La trama di Pacific Fear, tra surf, paesaggi mozzafiato e strane creature

La protagonista di Pacific Fear è l'ex campionessa di surf Sarah (Adèle Galloy), che porta sul corpo i segni di un incidente e ora è dedita soprattutto alla fotografia. La ragazza invita tre amiche a una vacanza con sorpresa misteriosa, che si rivela essere un'isola sperduta e deserta dove si trovano onde perfette sulle quali poter sfogare la loro passione. L'isola è talmente misteriosa che ad accettare di portarle in quel luogo, con adeguato e ricco compenso, è solo Sam, un ex militare che però avverte le ragazze dei pericoli del posto e di una sorta di maledizione inquietante.

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Tre inquietanti abitanti dell'isola

In effetti il paesaggio è paradisiaco, la prima notte foriera di grande divertimento, ma quando le ragazze si inoltrano nella foresta per raggiungere l'altra costa dove le onde sono ancora più spettacolari, e una di loro compie un gesto stupido profanando un luogo sacro della cultura polinesiana choiamato Maraé, allora cominciano i guai. Si fanno avanti creature violente e inquietanti che le costringeranno a una dura e quasi impossibile lotta per la sopravvivenza.

Un minestrone insipido fra test nucleari e troppi richiami

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Le ragazze sono pronte alle esibizioni sulle tavole da surf

Una sorta di incipit semi impegnato a ricordare le malefatte dei test nucleari da parte dei francesi nel post Seconda Guerra Mondiale, una spruzzata leggera di Un mercoledì da leoni con sprazzi di surf acrobatico, il richiamo a tanti survival a base di strane creature e luoghi maledetti (da Wrong Turn a The Green Inferno), perfino un po' di Apocalypse Now con un violento schizzato ex militare che detiene il potere sull'isola e un manipolo di esseri semiumani ai suoi ordini a osannarlo (vi ricorda forse Marlon Brando?). Forse tutto questo è un po' troppo? Certamente sì, perché la zuppa cucinata da Jacques Kluger è una sorta di caos male amalgamato, un frullato di generi, un minestrone insipido al quale si sono voluti dare troppi sapori, finendo per farne apprezzare manco uno.

Luoghi da cartolina, ma regia e montaggio aggiungono confusione

Le perplessità su Pacific Fear non si limitano al livello narrativo, ma abbracciano anche una regia balbettante e un montaggio immotivatamente nervoso che aggiungono confusione al film. Non possono bastare la bellezza delle onde cristalline della Polinesia francese, i paesaggi mozzafiato, le belle ragazze, il sole e una misteriosa isola divisa fra spiagge da sogno e fitta vegetazione. Potrà bastare forse per una cartolina.

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Il Generale al comando dell'isola con alcune creature

Ma a dare sale al prodotto non servono nemmeno le strane creature vittime proprio degli esperimenti nucleari, ora trasformate in carnefici dalla radioattività. Perché non sono né carne né pesce: non stiamo infatti parlando di mostri giganti o animali alla gozilla, bensì di uomini trasformati più o meno sensibilmente in qualcosa che comunque non si capisce, come resta enigmatica l'ostinazione della protagonista a portare le ragazze proprio in quel luogo.

Tanti cliché e un sussulto sul colonialismo culturale

Per il resto siamo alle solite: il luogo ignoto, l'isolamento totale, le paure della superstizione, la stupidità di ignorare gli avvertimenti e poi la conseguente inevitabile punizione. Dal paradiso della spiaggia all'inferno del pericolo, dal sogno del surf all'incubo della morte violenta. Il tutto attraverso il solito passaggio, perché, guarda caso, anche stavolta le ragazze si dimostrano colpevolmente e stupidamente incaute, prive di qualsiasi minimo barlume di saggezza per stare lontano dai pericoli. Tanto che è difficile tifare per loro.

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Le ragazze con le loro tavole da surf si inoltrano nella foresta

Ma qualcos'altro di positivo c'è a parte il ritmo? In effetti verso la fine qualcosa di interessante spunta, ovvero un cenno all'ignoranza e all'arroganza occidentale nei confronti delle tradizioni indigene, con la condanna di tutto quello che l'uomo ha combinato nel colonialismo culturale e causato alle popolazioni del luogo. Ma è un vago e approfondito sussulto che non basta a salvare il film dalla mediocrità e dall'etichetta di un puro passatempo di ottanta minuti.

Conclusioni

Un survival horror pieno zeppo di cliché e di facili richiami, che si dimostra poco efficace nella tensione e soprattutto nella messa in scena. Le quattro surfiste a caccia di guai su un’isola sperduta e pericolosa seguono binari già noti, e la condanna ai test nucleari e alla violenza sulle popolazioni indigene è troppo blanda e superficiale.

Movieplayer.it
2.0/5
Voto medio
N/D

Perché ci piace

  • Un buon ritmo e i luoghi da cartolina.
  • Il richiamo agli esperimenti nucleari e al colonialismo culturale.

Cosa non va

  • Una costante sensazione di grande confusione.
  • La storia è piena zeppa di cliché.
  • Regia poco incisiva e montaggio non convincente.
  • Un minestrone insipido con troppi ingredienti.