Recensione Francesco De Gregori - Finestre rotte (2012)

Il documentario di Stefano Pistolini offre un interessante ritratto di uno dei più rappresentativi esponenti della musica d'autore italiana, che si racconta attraverso interviste alternate a spezzoni di esibizioni.

Non è mica da questi particolari... che si giudica un cantautore

Tra i cantautori espressi da una generazione e da una scena musicale (quelle, rispettivamente, degli anni '70 e del Folkstudio di Roma) Francesco De Gregori resta tra i più rappresentativi, ma anche tra i più schivi. Così come quella di Nanni Moretti, altro rappresentante di una sinistra che da sempre rivendica la propria autonomia rispetto a ortodossie e schieramenti, la scarsa propensione di De Gregori alla luce dei riflettori e ai convenevoli sociali è diventata proverbiale; non destano stupore, in questo senso, frasi leggermente tranchant contenute in questo documentario di Stefano Pistolini, quali "non mi è mai piaciuto stare in mezzo a una moltitudine di persone" (affermazione quantomai curiosa per chi fa questo mestiere) oppure "gli artisti valgono sempre più dei critici, ma gli spettatori valgono molto più degli artisti". Che siano provocazioni o espressioni autentiche di un modo di essere, o piuttosto (più verosimilmente) un insieme delle due cose, queste affermazioni sono ben caratterizzanti il personaggio-De Gregori: non tanto cantautore, termine che lui stesso ha dichiarato di non amare, quanto piuttosto "artista", uomo che usa la musica come mezzo di espressione di sé, e che da questa, nella sua natura autoesplicativa, si sente evidentemente rappresentato a sufficienza.

Eppure, sarebbe ingeneroso negare al cantautore romano (non ce ne voglia, De Gregori, se continuiamo ad usare questo termine: lo facciamo per comodità) di essersi raccontato e lasciato raccontare (a suo modo) in questo Francesco De Gregori - Finestre rotte: magari senza molti sorrisi, ma con l'essenzialità e la schiettezza che lo caratterizzano, puntando ogni volta al centro delle questioni. Come quando rievoca, con parole molto chiare, il discusso "processo" intentato contro di lui da un gruppo di giovani dei collettivi studenteschi, durante un suo concerto a Milano nel 1976: qui, De Gregori dice senza mezzi termini che le cose da lui allora dette e cantate restano valide, e sostenibili, tuttora; lo stesso non si può dire delle accuse che gli furono mosse da quei contestatori, che non potrebbero essere ripetute oggi "a patto di non cadere nel ridicolo". Il suddetto processo, in realtà, è una delle poche rievocazioni storiche di un documentario che non vuole essere prettamente biografico: più che raccontare filologicamente la carriera dell'artista, il film di Pistolini intende infatti gettare una luce (ulteriore) sul modo di scrivere e comporre di De Gregori, sul suo procedimento creativo e sulle istanze alla base della sua arte. Lo fa attraverso interviste allo stesso cantautore e ad alcuni dei personaggi che hanno collaborato con lui negli ultimi anni, alternati a spezzoni di alcune sue recenti esibizioni.

Tra le collaborazioni in questione, spiccano quella con la folksinger romana Giovanna Marini (autrice di musica popolare) per l'album Il fischio del vapore; nelle confessioni incrociate in cui i due artisti si raccontano, singolarmente e a vicenda, è interessante rilevare elementi di confronto generazionale, tra una scuola di musica popolare ormai quasi dimenticata, e quella scena cantautoriale, di fatto anch'essa pienamente storicizzata, di cui l'artista romano è tra i principali rappresentanti. L'altra collaborazione interessante, raccontata e sviscerata in molte delle sue curiosità dal film, è quella con il musicista Ambrogio Sparagna; il quale ha recentemente tenuto un concerto, insieme all'Orchestra Popolare Italiana, all'Auditorium Parco della Musica di Roma (documentato nel suo album Vola Vola Vola) che ha visto la partecipazione straordinaria di De Gregori. Occasioni, quelle di tali confronti, per raccontare e capire meglio la versatilità di un musicista, attraverso quegli elementi di contaminazione, a volte dimenticati, che tuttavia hanno sempre fatto parte della sua arte.

L'esibizione su cui tuttavia il documentario si concentra maggiormente è quella tenutasi a Torino, nella centrale Piazza San Carlo, il 7 luglio 2011: un concerto in cui De Gregori si esibì insieme a Cristina Donà e Vasco Brondi, importanti rappresentanti dell'attuale musica d'autore italiana. Ed è un peccato, in questo senso, che nel film non siano stati intervistati anche questi due artisti, che avrebbero potuto allargare ulteriormente lo sguardo trans-generazionale offerto dal documentario. Il film di Pistolini si chiude con altre due singolari 'esibizioni', una pubblica e una privata: quella, dalle immagini estremamente suggestive, che il cantautore tenne in Val di Fassa, sulle Dolomiti, nell'agosto 2011, una specie di Woodstock montana nella cornice della quale assistiamo a un'intensa esecuzione di Generale; e quella, tenuta nel suo appartamento di fronte alla sola videocamera del regista, con cui De Gregori ha acconsentito ad eseguire una strofa di un altro dei suoi pezzi più rappresentativi, La leva calcistica del '68. Un'esecuzione sofferta, una specie di "concessione" che, a detta dello stesso cantautore, va contro quella che è sempre stata la sua prassi. Evidentemente, malgrado le sue dichiarazioni, De Gregori si sente molto più a suo agio ad esibirsi tra una moltitudine di persone, quella rappresentata, da ormai quattro decadi, dal suo pubblico.

Movieplayer.it

3.0/5