C'è un che di strano nell'approntarsi a redigere la recensione di Non cadrà più la neve, lungometraggio polacco presentato in concorso Venezia 77, e la stranezza è legata proprio al contesto di quella prima proiezione. Si tratta, infatti, del nuovo progetto della cineasta Malgorzata Szumowska, questa coadiuvata anche alla regia dal fido co-sceneggiatore e direttore della fotografia Michal Englert, ed è la prima volta che presenta un film nelle sale del Lido veneziano, essendo un'habitué di altre realtà festivaliere, principalmente la Berlinale, dove ha vinto il Teddy Award (premio assegnato al miglior film di tutto il festival a tema omosessuale) nel 2013, il premio per la regia nel 2015 e il Gran Premio della Giuria nel 2018. Una trasferta inattesa, quindi, la sua, con un film destinato a spiazzare e far discutere, un'opera molto allegorica che però parte da presupposti molto reali, titolo compreso: i titoli di coda citano infatti l'ipotesi che non nevicherà mai più nel mondo dopo il 2025.
Massaggio ucraino
Il personaggio centrale di Non cadrà più la neve (Non ci sarà mai più la neve) è un tale Zenia (Alec Utgoff, già visto nella terza stagione di Stranger Things dove interpretava lo scienziato russo), un immigrato ucraino residente in Polonia. È nato esattamente sette anni fa prima del disastro di Chernobyl, proprio in quella regione, come gli fanno notare mentre compila le scartoffie per la residenza. Non sarà mica radioattivo? Domanda legittima, a cui Zenia risponde con un massaggio che sembra togliere la vita al funzionario, e da lì inizia il suo bislacco viaggio con il lettino per i massaggi sempre appresso. Si stabilisce - anche se non capiamo mai esattamente dove vive lui - in uno strano quartiere dove le case sono praticamente tutte identiche e i clienti sono tutti più o meno strambi, ma non è chiaro se lo fossero già da prima o se lo siano diventati grazie all'influenza di Zenia: per loro infatti la sua presenza diventa un rituale, quasi un oggetto di culto, l'evento che risolleva le sorti delle loro tediose routine settimanali. Ma quanto durerà questo strano idillio? E qual è il segreto dell'enigmatico massaggiatore?
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Stramberia, portami via
La filmografia di Malgorzata Szumowska è attraversata da personaggi fuori dal comune e dalle loro interazioni con il mondo circostante, e questo nuovo lungometraggio non è da meno, con il topos dello straniero che stravolge la vita di una piccola comunità, in questo caso una sorta di Wisteria Lane in salsa polacca abitata da figure tutte più o meno caricaturali, e dove ogni casa ha il campanello che si rifà a un brano di musica classica. Uno di questi, Il Valzer no. 2 tratto dalla Suite per orchestra di varietà di Shostakovich, accompagna anche il viaggio iniziale di Zenia, e la mente torna subito ad Eyes wide shut, altra indagine dell'irreale che fa irruzione nella quotidianità. Ma mentre lì era il protagonista a cercare un mondo diverso dal nostro, in questa sede è il diverso, lo straniero, a uscire dal proprio mondo ed entrare in quello che in apparenza sarebbe un microcosmo tradizionale. Ma in mano alla cineasta e al suo sodale Michal Englert diventa un microcosmo sui generis, dove paradossalmente è proprio lui, quella figura quasi aliena dal fascino letteralmente ipnotico, a risultare il più normale dei vari personaggi, e l'unico ad avere un qualche tipo di arco narrativo che non scivoli nel grottesco.
È un film volutamente irrisolto, dove le varie piccole storyline non giungono a termine, perché alla regista non interessano quelle figure stereotipate che vivono in un mondo dove la conformità regna sovrana, tra routine varie e la precisione geometrica che trasforma l'intero quartiere in una sorta di labirinto dove l'unico modo per distinguere le singole abitazioni è sapere quale sia il luogo comune di turno che vive al loro interno. Una precisione studiata per essere irritante, e che Zenia arriva a scombussolare, dominando lo schermo con un'enigmatica imperscrutabilità: è lui la neve del titolo? Una neve fisica, naturale, o forse un rimando all'inverno nucleare e a episodi tragici come quello di Chernobyl, che definisce e al contempo non spiega la natura del personaggio? Proprio questo suo essere indefinito definisce l'atmosfera surreale del progetto, fino ad arrivare a un finale perfettamente calibrato che ribadisce la qualità illusoria delle esistenze che la regista ha scelto di mettere alla berlina. E anche se non dovesse mai più esserci la neve, questa è un'esperienza che rimane, fosse anche solo per cercare di arrivare a capo di un mistero che in realtà non ha bisogno di soluzione.
Conclusioni
Eccoci giunti al termine della nostra recensione di Non ci sarà mai più la neve, un titolo molto terra terra dietro il quale si cela un mondo decisamente inconsueto, come da tradizione nel cinema di Malgorzata Szumowska, per l'occasione coadiuvata in cabina di regia dal collaboratore abituale Michal Englert. Insieme i due cineasti creano l'ennesimo microcosmo fuori dal comune, che non metterà d'accordo tutti ma regala diversi momenti affascinanti e ipnotici.
Perché ci piace
- L'atmosfera è piacevolmente bizzarra.
- Alec Utgoff trasuda umanità in un ruolo non particolarmente umano.
- La natura volutamente incompiuta di alcuni snodi di trama è affascinante...
Cosa non va
- ... Ma potrebbe anche mettere a dura prova chi predilige una scrittura più tradizionale.