Il 19 dicembre uscirà nelle sale italiane, distribuito da 01 Distribution, Pinocchio, nuovo adattamento cinematografico dell'immortale opera di Carlo Collodi. Progetto del cuore a lungo desiderato da Matteo Garrone, il nuovo film fantasy per tutta la famiglia è un ulteriore passo in avanti nella già straordinaria filmografia di un grande regista che, partito dai documentari, si è dimostrato essere un narratore fedele al suo stile, ma con il desiderio di far riscoprire un universo fiabesco al pubblico italiano. Ripercorrere la filmografia di Matteo Garrone significa addentrarsi nella realtà più crudele, cruda e cinica e allo stesso tempo essere circondati da umanità, sogni e speranza.
Terra di mezzo (1996), Ospiti (1998) ed Estate Romana (2000)
Matteo Garrone esordisce al cinema con Terra di mezzo, film a episodi (il primo, Silhouette, come cortometraggio vinse il Sacher Festival di Nanni Moretti permettendo a Garrone di poter realizzare il terzo episodio del lungometraggio) che mostra fin da subito lo stile personale del regista: l'approccio documentaristico alla materia, le riprese con la camera a mano, uno sguardo empatico verso gli emarginati, i deboli, gli sconosciuti. Nel corso dei tre episodi facciamo la conoscenza di alcuni immigrati che cercano di lavorare e, di conseguenza, di trovare la propria dignità nei sobborghi della capitale romana tra lavori in nero e prostituzione.
Il successivo Ospiti sembra una naturale prosecuzione dell'episodio centrale di Terra di Mezzo. Ancora una volta i protagonisti sono due comuni ragazzi albanesi che cercano di realizzarsi scontrandosi con una realtà mostrata senza filtri. Lo stile di Garrone, anche operatore di macchina dei suoi film, prosegue quella ricerca di naturalezza, da cinema verité dove la sceneggiatura si fa via via più invisibile. A chiudere questa trilogia non ufficiale, a distanza di due anni, ecco presentarsi Estate romana che spinge al limite la poetica del regista. Non avvalendosi di una vera e propria sceneggiatura, Garrone si concentra sui personaggi e lascia che siano loro, in maniera sincera, a traghettare la storia man mano che si prosegue nella realizzazione del film (tecnica che adotterà spesso tanto da arrivare a cambiare il finale di Dogman). Con Estate Romana si conclude una prima fase della carriera di Matteo Garrone, quella che sperimenta sul reale dando vita a documentari di finzione con molto anticipo rispetto all'exploit degli ultimi anni. Con il nuovo millennio, Garrone riuscirà ad evolvere la sua poetica d'autore consacrandosi definitivamente come grande regista italiano.
L'imbalsamatore (2002)
Il primo film puramente di fiction di Matteo Garrone parte da un fatto di cronaca (elemento che ricorrerà in tutti i suoi film, ad esclusione di quelli più fantasy) quasi a voler confermare l'abilità e l'interesse del regista di non scostarsi troppo dal cinema dei suoi esordi. Alla base della storia de L'imbalsamatore c'è la vicenda del nano di Termini e il film racconta, per l'appunto, una strana storia d'amore tra un imbalsamatore nano - e quindi, ancora una volta, un emarginato - di nome Peppino e Valerio, un bel ragazzo giovane che diventerà suo discepolo. Il rapporto possessivo di Peppino darà vita a un triangolo che coinvolge anche Deborah, la fidanzata di Valerio, fino ad un epilogo tragico. Girato come un anomalo thriller di passioni (molti sviluppi vengono lasciati nel fuori campo dando al film una patina di inquietudine), il film mette le basi su quelle che saranno le caratteristiche migliori di Garrone: lo scontro tra umanità e animalità, una danza continua tra vita (le passioni, i sentimenti) e morte (i corpi imbalsamati a simboleggiare la fissità della natura umana, le ossessioni di Peppino).
Primo amore (2004)
Il conflitto tra eros e thanatos dell'opera precedente trova naturale evoluzione nel film più horror di Garrone: Primo amore. Tratto da un romanzo, Il cacciatore di anoressiche, che però è un'autobiografia del suo autore Marco Mariolini, il film racconta la storia di un ennesimo no-man che, ossessionato dalle donne scheletriche e anoressiche, instaura una relazione di abusi fisici e alimentari con una donna che sarà costretta a perdere peso per mantenere la relazione. Ancora una volta si arriverà a commettere un gesto estremo nel finale. Il lavoro di Garrone, anche in questo film, parte dai personaggi e dagli attori che li interpretano, lasciando che filmico e profilmico si compenetrino (Michela Cescon perderà davvero svariati chili nel corso delle riprese) trasformando un film di genere body horror che ricorda il miglior Cronenberg in un incubo reale, tangibile, fisico e, di conseguenza, ancora più inquietante.
Gomorra (2008)
La definitiva consacrazione, anche a livello internazionale, di Garrone avviene nel 2008 grazie a Gomorra, film tratto dal celebre libro omonimo di Roberto Saviano. Operazione di adattamento eccellente che riesce a trasformare un'opera saggistica in un'opera narrativa, Gomorra ne mantiene l'atmosfera e il cuore dei contenuti mettendo in mostra, nel corso delle sue quattro storie alternate, una realtà ancora una volta reietta e ancora una volta senza filtri, definendosi come apice del percorso intrapreso da Garrone sin dall'esordio di Terra di mezzo. Girato con attori professionisti e non (indimenticabile Ciro Petrone nel ruolo di Pisellino), recitato in un dialetto strettissimo che obbliga lo spettatore a seguirlo coi sottotitoli, Gomorra ha la forza di usare l'approccio caro a Francesco Rosi evitando la compassione, l'empatia, il patetismo. Da qui la visione diventa molto di più di un'opera di denuncia. Diventa un viaggio senza pietà e umanità che sconvolge e colpisce. Tra i vari riconoscimenti ci sono il Gran Premio della Giuria al Festival di Cannes, svariati David di Donatello e gli European Film Awards del 2008. Il film ha inoltre dato avvio al "marchio" Gomorra che tutt'oggi è vivo e vegeto con la serie televisiva arrivata alla quinta stagione e un film spin-off nelle sale, L'Immortale.
Matteo Garrone: da L'imbalsamatore a Dogman, tutti i marchi di fabbrica del regista
Reality (2012)
Se dovessimo riassumere la filmografia di Garrone degli anni Dieci del nuovo millennio con una parola potremmo usare "Fiaba". Arrivando all'apice del realismo con Gomorra, Reality - nascondendo un gioco di significato tra titolo e contenuto del film - apre una nuova fase nella carriera di Garrone. Nel raccontare ancora una volta la storia di un'ossessione mentale, quella di partecipare al Grande Fratello, di un uomo comune, un pescivendolo napoletano (interpretato da Aniello Arena, ex latitante e attore non professionista ma perfetto nella parte), i toni si fanno via via più leggeri, da commedia.
Se in Gomorra i personaggi si muovevano nell'ombra, in Reality il desiderio dei personaggi è quello di esporsi tramite il reality show. La fotografia si satura di colori come a voler filtrare la realtà contaminandola con la fantasia del protagonista che, forgiato dallo slogan dell'ex concorrente della Casa "Never Give Up", passa dal disinteresse alla paranoia, dalla speranza alla rabbia, dalla realtà al sogno (che poi è la sua versione della realtà) confondendo ciò che è vero e ciò che è falso. I contenuti cari al regista sono ancora presenti, ma il film si risolve in una commedia, in una risata.
Il racconto dei racconti (2015)
I tempi sono maturi per Garrone per abbandonare (quasi) completamente la realtà e abbracciare totalmente il fantastico. Per farlo si affida a un caposaldo della letteratura italiana, Lo cunto de li cunti raccolta di fiabe napoletane scritte da Giambattista Basile. Garrone sceglie di sviluppare, sulla falsariga di quanto fatto con Gomorra tre fiabe non intrecciate facendosi aiutare da cast internazionale che vanta tra i vari nomi Salma Hayek, John C. Reilly, Vincent Cassel e Toby Jones. Il film mantiene l'approccio realistico alla materia fantastica tanto caro a Garrone non edulcorando i momenti più violenti e crudi e creando un'opera innovativa e fresca nel panorama cinematografico italiano in un periodo in cui il cinema di genere sembra rinascere. Per la prima volta, Garrone è anche obbligato a rinunciare alla camera a mano che caratterizza da sempre il suo stile. Il racconto dei racconti non sarà un grosso successo di pubblico (più positivo sarà il riscontro della critica tanto che Garrone vincerà ancora il David di Donatello come miglior regista), ma è indubbia la sua qualità di fantasy atipico, maturo eppure fiabesco.
Dogman (2018)
Si potrebbe parlare di ritorno alle origini per Dogman, l'ultimo - ad oggi - capolavoro di Matteo Garrone. Basato ancora una volta su un fatto di cronaca, nella fattispecie il delitto del Canaro da cui, però, il regista si discosta parecchio prendendolo solo come modello d'ispirazione, concentrandosi su un altro freak invisibile, Marcello, intorno al quale gira tutto il film. Ritorna la camera a mano che si concentra su Marcello, sui suoi primi piani, sul suo punto di vista e ritorna quella capacità viscerale di trasformare attori non professionisti in assoluti mattatori perfetti per il ruolo (Marcello Fonte vincerà la palma di miglior attore a Cannes). Se si può parlare di ritorno alle origini da un punto di vista stilistico e quasi tematico, è altrettanto vero che Dogman sembra una naturale prosecuzione del discorso fiabesco che Garrone ha affrontato da Reality. Con i personaggi che si definiscono attraverso la loro funzione narrativa e soprattutto sviluppando il carattere di Marcello come un'anima buona, disperata e infantile, Dogman sembra una fiaba moderna che si discosta dai lati più crudi dei suoi film degli anni Duemila (L'imbalsamatore o Gomorra) e abbracciando, invece, la favoletta morale come ne Il racconto dei racconti.
Dogman: Matteo Garrone trova l'uomo dietro la bestia
Pinocchio (2019)
Finalmente dal 19 dicembre potremmo vedere il progetto del cuore di Matteo Garrone, covato a lungo negli anni e che, paradossalmente, sembra chiudere al meglio il percorso nella fiaba iniziato dal regista. La fiaba di Collodi incontrerà l'approccio realistico di Garrone o sarà il primo film veramente per tutta la famiglia del regista? Quello che possiamo affermare in base a ciò che abbiamo visto dal materiale promozionale è che Garrone sembra muoversi con assoluta sicurezza all'interno del mondo fiabesco nato dalla penna di Collodi, donando a una storia ben conosciuta e riproposta uno sguardo nuovo e affascinante. L'ennesimo adattamento di Pinocchio al cinema sembra al primo impatto qualcosa di mai visto prima, sicuramente coraggioso nel panorama del cinema di genere italiano, e questo non è cosa da poco. È invece un'ulteriore conferma del talento geniale di uno dei nostri migliori registi contemporanei.
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