L’uomo delle castagne, la recensione: il caso è servito su Netflix

La recensione de L'uomo delle castagne, nuovo thriller nordico dall'autore di The Killing disponibile su Netflix.

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L'uomo delle castagne: una scena della serie

Vogliamo iniziare la nostra recensione de L'uomo delle castagne senza tradire la nostra soddisfazione per questa miniserie danese in sei episodi disponibile su Netflix. Persa in un catalogo sempre più sterminato, la nuova opera tratta dal romanzo omonimo, pubblicato in Italia da Rizzoli, di Soren Sveistrup, conosciuto in campo televisivo per aver scritto The Killing, è una piacevole scoperta. Certo, non si tratta di un'opera sconvolgente e rivoluzionaria per il panorama televisivo, ma si fa fatica a trovare dei veri difetti in un questo thriller nordico dalle tinte oscure e misteriose. Capace di trattenere lo spettatore senza stancarlo, coadiuvato da una durata giusta per la tipologia di storia, L'uomo delle castagne è una solida storia di misteri e omicidi da risolvere, di un assassino da catturare e di persone alla ricerca di una soluzione al peso della vita.

Risolvere un caso

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L'uomo delle castagne: una foto di scena

Isola di Møn, 1987. Un poliziotto di nome Marius deve avvisare un contadino del posto che le sue mucche sono scappate dal recinto per l'ennesima volta. Arrivato alla fattoria trova di fronte a sé uno spettacolo raccapricciante: tre cadaveri brutalmente uccisi e una bambina nascosta sotto il tavolo della cantina, ancora viva, miracolosamente. Prima che possa salvarla, una figura uccide Marius. Sugli scaffali della cantina osservano la scena alcuni omini realizzati con le castagne e i fiammiferi, come fanno i bambini. Arriviamo al presente, a Copenhagen. La detective Naia Thulin, desiderosa di cambiare vita per passare più tempo con la figlia, viene incaricata di risolvere un caso di omicidio. A farle compagnia, controvoglia, Mark Hess, un agente dell'Europol poco amato dai colleghi a causa della mancanza di disciplina e dei suoi metodi poco ortodossi. Arrivati sulla scena del crimine, i due fanno una scoperta sconcertante: alla vittima è stata amputata una mano e, a fianco del corpo, è stato messo un omino di castagne. Nel frattempo, la ministra degli Affari Sociali Rosa Hartung, dopo una lunga elaborazione di un lutto per la scomparsa di sua figlia Kristina, torna al lavoro in Parlamento per ricominciare la propria vita. Ma riceverà minacce via mail e, anche nel suo caso, il passato è destinato a tornare sconvolgendo ancora una volta la sua quotidianità: sono le impronte di Kristina quelle trovate sopra l'omino di castagne.

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Verso la soluzione

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L'uomo delle castagne: un'immagine della serie

Le due storyline troveranno modo di incrociarsi e comunicare tra loro, dando vita a un intreccio che, nel corso delle sei puntate, risulta coinvolgente sino alla fine, grazie a un ritmo costante seppur non elevato. Soffermandosi sui personaggi, L'uomo delle castagne riesce ad approfondire il ritratto dei protagonisti della vicenda, donando loro una tridimensionalità, che risulta appagante per meglio entrare all'interno della storia. Va detto che l'importanza sulla pura narrazione viene mantenuta, dando sempre priorità al caso e al proseguimento delle indagini, prediligendo una costruzione narrativa legata al genere thriller/noir. Difficile annoiarsi, anche se non manca, soprattutto nella parte centrale un certo rallentamento prima della soluzione. Giocato soprattutto sulla tensione, anziché sull'azione più dura e pura, la miniserie danese sa fin da subito costruire un'atmosfera grigia e plumbea, che si appoggia sulle spalle dei personaggi, costretti a farsi carico di un peso esistenziale, tipico di certe narrazioni di genere proveniente dal nord Europa. Funziona il cast della serie. In particolare, la coppia formata da Danica Curcic, nel ruolo di Thulin, e Mikkel Boe Følsgaard, in quello di Hess, è capace di creare un'ottima alchimia che prosegue col passare degli episodi.

Qualche cliché di troppo?

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L'uomo delle castagne: un'inquietante scena della serie

Si diceva all'inizio della nostra recensione che L'uomo delle castagne, per quanto piacevole e a suo modo molto coeso in ciò che vuole raccontare, non presuppone di cambiare il genere di appartenenza o rivoluzionare un modello narrativo che funziona sin troppo bene. La miniserie Netflix sembra volersi inserire all'interno di un filone di successo, quello dei thriller nordici che spopolano sia in opere letterarie che in campo audiovisivo, anziché rinnovarlo. Di conseguenza, soprattutto verso il finale, ci si può scontrare con certe dinamiche che sembrano già state raccontate in altri lidi, senza una vera e propria carica nuova da apportare al racconto. Nonostante un finale soddisfacente, risulta difficile considerare questa miniserie memorabile, anche se è capace, grazie alle sue qualità più basilari, di risultare appagante quanto basta per qualche serata in compagnia di qualche brivido e qualche mistero. Arrivati per l'ultima volta ai titoli di coda, conosciamo il nostro assassino e, senza volerlo ma con piacere, ci siamo ritrovati vittime dell'intrattenimento.

Conclusioni

Concludiamo la nostra recensione de L’uomo delle castagne sottolineando come questa miniserie in sei episodi disponibile su Netflix sia un solido prodotto di intrattenimento di genere thriller. Nonostante qualche sensazione di già visto, questa storia danese promette intrattenimento basilare, qualche brividio e una buona atmosfera grigia. Una coppia di protagonisti che funziona a dovere (e degnamente scritta) sa coinvolgere lo spettatore che si ritroverà appagato, per quanto consapevole di essere di fronte a un prodotto non del tutto memorabile e di facile consumo.

Movieplayer.it
3.5/5
Voto medio
4.1/5

Perché ci piace

  • L’atmosfera creata dalla regia.
  • La coppia di protagonisti sa coinvolgere lo spettatore.
  • Una storia che, complici soli sei episodi, viene raccontata con gusto.

Cosa non va

  • Senza voler rivoluzionare il genere, la serie si adagia su qualche cliché narrativo di troppo che potrebbe scontentare il pubblico.
  • Nonostante il piacere della visione, arrivati alla fine si ha l’impressione che non rimanga nella memoria dello spettatore.