Perché l'alieno creato da Spielberg in E.T. L'extraterrestre è marrone? Perché i protagonisti di Love Story si innamorano follemente? Perché uno pneumatico abbandonato nel deserto californiano prende improvvismente vita uccidendo coi suoi poteri paranormali ogni essere vivente che gli si para davanti, il tutto sotto lo sguardo incuriosito di un pubblico partecipe? Per nessun motivo. O meglio, un motivo c'è ma per comprenderlo occorrerebbe chiedere direttamente al regista Quentin Dupieux che sembra essersi divertito un mondo a dirigere Rubber, divertissement completamente folle che ha richiesto tre mesi di postproduzione. Risate, colpi di scena e un pubblico attonito (anzi due, quello diegetico e quello inchiodato sulle sedie della Piazza Grande) pronto a seguire l'incredibile marcia della gomma impazzita. Alla fine della proiezione apprenderemo che il nome del pneumatico star di Rubber è Robert. Anche questo è cinema. Di tutt'altra pasta il poetico Svet-Ake - The Light Thief, raffinata pellicola immersa nelle desolate steppe del Kirghizistan. Protagonista della storia è il "signor Luce", ometto capace non solo di fornire la luce al villaggio in cui vive, ma di mediare tra gli altri abitanti delle steppe grazie alla sua onestà e al suo buon cuore. La vicenda personale di un piccolo uomo straordinario è la chiave usata dal regista Aktan Arym Kubat per aprirci gli occhi sulla situazione delle Repubbliche asiatiche dopo il crollo dell'Unione Sovietica, in particolare del poverissimo Kirghistan, segnato dal collasso del tradizionale sistema agro-pastorale e dall'emigrazione di massa dei giovani verso Russia e Kazakistan.
Ieri il concorso internazionale ci ha riservato una bella sorpresa con la visione del drammatico Pietro, sorpresa ancor più gradita perché il film di Daniele Gaglianone è l'unica pellicola italiana in concorso e, a nostro parere, fino a questo momento la migliore. Il regista, accompagnato dai due interpreti del film, si è commosso nel ricordare le difficoltà legate alla realizzazione. Pietro, prodotto da Gianluca Arcopinto, nasce, infatti, proprio da un momento di difficoltà personale di Gaglianone, dal suo tentativo di trovare il proprio posto in un'industria che, oggi più che mai, ingloba talenti individuali appiattendoli e uniformandoli alla logica del profitto. Pietro è un grido di rabbia che logora il cuore dello spettatore, è una storia come tante altre di precariato, droga, emarginazione, diversità, ma contiene al suo interno un nucleo pulsante di ferocia e sangue che deflagra con potenza impressionante. La regia, lucida e incisiva, si sposa alla perfezione con la scelta degli interpreti, in particolare con lo straordinario Pietro Casella, giovane cabarettista capace di un'impressionante trasformazione davanti alla macchina da presa di Gaglianone per dar vita allo struggente Pietro. Il film, costato circa 120.000 euro, è stato girato nella periferia di Torino in 12 giorni. Ancora un esempio dell'importanza fondamentale del cinema indipendente e della presenza di produttori coraggiosi come Gianluca Arcopinto senza il quale, probabilmente, un film necessario come Pietro avrebbe mai visto la luce.Insieme a Pietro, ieri il concorso ha visto anche l'esordio della regista Vania d'Alcantara, formatasi a Bruxelles e a New York. In Beyond the Steppes la protagonista, la giovane polacca Nina, viene deportata insieme al figlio ai confini dell'URSS a seguito dell'occupazione della Polonia da parte dell'Armata Rossa. Mentre infuria la guerra Nina dovrà lottare contro le durissime condizioni di vita dei territori inospitali mettendosi in marcia insieme a ungruppo di nomadi kazaki per trovare le medicine che serviranno a salvare la vita al figlio malato.