Il concorso internazionale del Festival di Locarno entra nel vivo e, come preannunciato, il tema principe attorno al quale ruotano molte delle pellicole in competizione è il sesso, declinato in tutte le sue varianti. Lo sbocciare della sessualità in una giovane adolescente viene fotografato dalla svizzera Katalin Godros in Songs of Love and Hate che, con sensibilità tutta femminile, scandaglia in profondità la relazione del padre, turbato da tale cambiamento, e, di conseguenza, degli altri membri della famiglia.
Da un film giocato sulla recitazione, capace di suggerire mondi interi dietro uno sguardo, passiamo alla sessualità esplicita ed estrema del canadese Bruce La Bruce che, con L.A. Zombie, aggiunge un altro tassello alla sua epopea dei non morti gay. Il film, girato senza permessi per le strade di Los Angeles (scene di sesso comprese), non si discosta troppo dallo scherma dei precedenti lavori, in particolare da Otto; or Up with Dead People, altra epopea zombie dove orrore e lentezza si mescolano creando un lavoro visionario ed estenuante al tempo stesso. Agli stilemi che caratterizzano il cinema di La Bruce stavolta si aggiunge, in L.A. Zoombie, il trionfo della sessualità debordante di Francois Sagat, muscolosa pornostar francese che tenta l'arrembaggio del cinema d'autore ed è presente in concorso a Locarno anche con Homme au bain di Christophe Honoré.
Cambiamo completamente genere col drammatico White white word (Beli, beli svet), toccante pseudotragedia greca calata nella Serbia contemporanea. La pellicola, complessa e stratificata, è ambientata in una cittadina mineraria in declino dove, di fronte a una sorta di atipico coro formato dai minatori, si intrecciano le drammatiche esistenze di King, della sua ex amante Ruzica, appena uscita di prigione, e della sbandata Rosa, figlia di Ruzica, che sviluppa un'insana attrazione per King. E' un dramma dell'incomprensione quello tratteggiato con grande delicatezza dalla regista tedesca Pia Marais, cresciuta tra Sudafrica, Svezia e Spagna e forte di una solida formazione artistica. La Marais costruisce un ritratto di donna cupo e dolente. La sua Ellen consuma i giorni della propria esistenza passando da un aereo all'altro finché il tradimento del marito e non meglio specificati problemi di salute non la conducono al punto di rottura. Da questo momento in poi la sua vita cambierà radicalmente portandola a mollare tutto per dedicarsi all'attivismo ambientalista.
A fronte delle costanti tematiche che si ripresentano, film dopo film, in questi primi due giorni di concorso, la Piazza Grande si presenta invece come la sezione che offre la maggior varietà stilistica, scovando pellicole estremamente diverse l'una dall'altra e spesso curiose. Dopo l'esistenziale King's Road, commedia nera incentrata su un nucleo familiare atipico e disfunzionale nella gelida Islanda, i settemila spettatori di una Piazza Grande gremita all'inverosimile hanno assistito con enorme interesse al documentario dedicato all'atleta svizzero Hugo Koblet che nel 1950 entrò negli annali del ciclismo come primo cittadino straniero capace di aggiudicarsi il Giro d'Italia. Alle vittorie, ben presto, si sostituiranno i drammi di una tormentata esistenza personale che si concluderà tragicamente. Utilizzando la modalità della docu-fiction, il film mescola interviste e ricostruzioni restituendo la memoria di un campione con le luci e ombre che ne hanno caratterizzato la complessa personalità. Infine ci ha pensato il bel zombie movie tedesco Rammbock a garantire sogni non tranquilli e popolati da morti viventi al pubblico svizzero. Tanto si sa che qui a Locarno la notte in Piazza è horror.