Lo Stranamore per il cinema
In un universo precario, spazzato via da tempeste solari, dove rimane solo lo spazio per guardare in fondo all'abisso, c'è chi riesce a sopravvivere inventandosi a ripetizione, come la pizza di un Grindhouse gira in una programmazione continua reinventandosi nella qualità della proiezione e dell'emozione. Ciò comporta la ripetizione delle stesse mosse, gesti, parlate e immagini, ciò significa cinema e quindi voler inventarsi nel cinema; così come fece Enzo Castagna, impresario funebre, procacciatore per il cinema di volti, icone ciniche, immobili statue sgrammaticate fluttuanti nel cimitero architettonico dei quartieri popolari palermitani.
Partiamo quindi dalla vulgata per arrivare in nessun luogo/set dove conosciamo e divertiti partecipiamo al gioco documentaristico che Ciprì e Maresco imballano allo scopo di parlare (sempre a ripetizione come appunto accade nel cinema) della Palermo del cinema, quella dei grandi filmi, dei casting costosi, dei regali generosi, di De Sica e Pasolino, dei (il) viaggi(o) e dei racconti di canterbur(y), quella dei ritorni, delle rapine alla posta, quella degli aspiranti pentiti, quella della mafia non so cos'è e quindi non ne parlo, quella dei Marco e Ignazio Trevi, quella dei cuori incatenati, dei camerieri e delle amicizie si ma non quelle malvagie. Lo sguardo meccanico di Ciprì è pietrificato; le parole di Maresco, invece, mobili e fastidiose come zanzare infaticabili amiche di borgata su un bianco e nero contemporaneo (una realtà morta) e un colore glorificazione di un passato celebre da celebrare; era il tempo in cui i film della realtà palermitanesca passavano per l'agenzia Castagna (benefattore e santo come Santa Rosalia), che organizza pure feste di piazza e coreografie a ceste di fiori, era il periodo del benefattore, del dispensatore di lavoro e pane e sogni cellulosi. Ma come in ogni cosa c'è il risvolto, c'è un altro nessun luogo/set quello dell'uomo politico dell'unione popolare siciliana, dei certificati di voto fotocopiati e trovati nelle casse da morto, delle collusioni con la mafia e quello dei contrasti con i colleghi di lavoro, non sempre ammirati, amati e riveriti, come nel caso del regista ma sceso da (S)Aclà Aurelio Grimaldi.
Bisogna, è vitale, per il nostro abisso celebrare ciò che il nord non vuole decantare; organizzare organizzatore "il più grande d'Italia, del mondo, no, dell'Italia ma detto da uno del mondo" una festa celebrativa della nostra morte, è la serata degli Oscar siciliani (1993) con Sperandeo e Totò Cascio (fra i tanti tantissimi ospiti del ballo del Gattoparve), dietro quegli occhialoni di bambino sperduto preda di un pippobaudo palermitano che dopo sarà in carcere poi ai domiciliari, ma sempre combattivo e ora anche auto celebrativo con una seconda edizione degli Oscar diretta e organizzata dal balcone della sua casa/carcere e affidata ad un giovane Saverio D'Amico, Bell'Antonio della situazione felice della grande responsabilità ma alla fine esausto e "grazie ciao e buon lavoro".
Disco city con i suoi LP (cchiddi grossi a'ccussi) e Atanus con i talismani passaporto della felicità completano lo sguardo divertente, furbarolo, da boss di quartiere su un personaggio, Enzo Castagna appunto, emblema paradossale di una originale controstoria del cinema italiano "dal basso".