Dopo Il giardino delle delizie, ispirato all'omonimo dipinto di Bosch, e I colori della passione, viaggio nei meandri di La salita al calvario di Pieter Bruegel, il regista polacco Lech Majewski conclude la sua trilogia (ma lui preferisce definirla trittico) dedicata alla rilettura di capolavori del passato nientemeno che con la Divina Commedia di Dante Alighieri. Il film che ne è nato, Onirica, è un percorso nella mente e nelle visioni di un uomo, Adam, che ha indirettamente provocato in un incidente stradale la morte della sua donna e del suo migliore amico. Ma, allo stesso tempo, Onirica è anche una riflessione sulla tragedia di un paese, la Polonia, che nel 2010 subì prima diverse terribili inondazioni e poi vide morire tutta la classe dirigente nazionale nel disastro aereo avvenuto il 20 aprile di quell'anno. Con uno stile rarefatto e allucinato, in cui si passa senza soluzione di continuità dalle vicende reali del protagonista alle sue visioni, Onirica conferma il talento visivo di Majewski. Lo abbiamo incontrato al cinema Barberini a Roma in occasione della presentazione alla stampa del suo film che sarà distribuito in 20 copie a partire dal 17 aprile dalla CG Home Video.
Il mio Dante trasposto al cinemaMajewski subisce da sempre il fascino di Dante e della sua opera immortale: _"Sì, la mia relazione con Dante è iniziata molto tempo fa attraverso le illustrazioni di Gustave Doré che vidi quando ero molto giovane. Non le capivo bene ovviamente, ma mi rimasero impresse perché mi terrorizzavano. Poi sono passato attraverso la scoperta di altre illustrazioni della Divina Commedia, quelle di Francesco Scaramuzza. Fu a quel punto che decisi che volevo leggere Dante. Facevo però fatica, perché mi sentivo bloccato dalle lunghissime note a pie' di pagina che, ovviamente, sono fondamentali ma allontanano dal piacere della lettura. Infatti, se ci pensate, il testo della Divina Commedia in sé non è che sia così lungo, anzi è molto breve. Finalmente trovai una bellissima traduzione in inglese, che mi ha aperto completamente gli occhi sul mondo dantesco. La sua incredibile immaginazione non ha pari, la sua capacità di descrizione, la costruzione di un mondo fatto di simbolismi e poi la sua straordinaria qualità nel saper descrivere allo stesso tempo episodi personali, di persone che conosceva, amici e nemici, e di parlare a tutti, al suo tempo, ai posteri. Da qui, nel mio piccolo, sono partito con l'idea di Onirica, dal tentativo di raccontare una piccola storia e insieme quella del mio paese. Credo infatti che oggi un certo modo di fare arte sia stato dimenticato. Lo vedo in particolare al cinema, dove i registi, invece di parlare in modo personale, sono come dislocati, non sono più al centro del loro mondo, hanno paura di parlare con la loro voce. Ci sono delle eccezioni, è vero, ma in genere si preferisce seguire la linea di questo cinema impersonale che trovo assolutamente risibile". _ Influenze italiane
Il mondo poetico, artistico e cinematografico di Lech Majewski è profondamente impregnato dell'arte italiana. Non solo la Divina Commedia, ma anche il cinema e la pittura: "Sì, uno dei film che mi ha segnato è 8½ di Federico Fellini. Lo vidi per la prima volta a 14 anni e rimasi scioccato, anche se non ne capii molto. Poi, a 23 anni, quando dovevo fare la tesi per completare i miei studi, decisi di farla proprio su 8½. All'epoca non c'erano i DVD né le VHS, quindi mi chiusi nella sala di montaggio della scuola e ci restai per 6 settimane, finché non ebbi finito di analizzare tutto il film fotogramma per fotogramma. Mi ero anche portato una brandina per passare più tempo lì. Credo che 8½ sia il massimo esempio di cinema personale, di un cineasta che è al centro del suo mondo e sono convinto che Fellini non avrebbe mai fatto quel film se nella storia della cultura italiana non ci fosse stato Dante". Tutta la passione per l'Italia nasce in Majewski da esperienza biografiche: "Mio zio era stato ferito in Italia durante la Seconda Guerra Mondiale. Aveva conosciuto un'italiana e si era stabilito a Milano. Ma aveva anche un appartamento a Venezia, dove insegnava musica al Conservatorio. Perciò d'estate, quando era in ferie, lasciava quella sua casa a noi, la povera famiglia polacca. È a Venezia che ho scoperto la pittura di Giorgione e in particolare il suo dipinto La tempesta. Ricordo che andavo a vederlo continuamente, ne ero proprio ossessionato. Mi ipnotizzava, restavo lì davanti a guardarlo per ore e mi domandavo anche il perché, c'era qualcosa che mi sfuggiva. È stato allora che ho deciso di iscrivermi all'Accademia di Belle Arti. Poi un giorno - ero seduto sui gradini dell'Accademia - ho capito da dove mi derivava l'ossessione per quel quadro di Giorgione: dal fatto che quella stessa boscaglia ritratta nel dipinto l'avevo già percepita altrove, in Blow-Up di Michelangelo Antonioni, in particolare nella sequenza del bosco. Allora, a quel punto, ho capito quanto tutto fosse collegato nella storia dell'arte italiana e quanto, allo stesso tempo, anche il mio lavoro dovesse mettere in correlazione le cose, dalla pittura al cinema". Le imprese visionarie di Onirica
Il nuovo film di Lech Majewski conferma la tendenza al visionario del cineasta polacco, così come il tentativo di sfidare le "regole" dello sguardo nel tentativo di trovare delle immagini improntate alla fantasia più sfrenata. In tal senso, nel film, sono due le sequenze che restano più impresse: quella di due buoi che arano il pavimento di un supermercato, svelando la terra che vi è sotto, e quella di una chiesa che dal soffitto viene completamente inondata dall'acqua. "Tra queste due sequenze", - commenta Majewski - "quella che è stata più impegnativa è stata la scena dei buoi. La sequenza della chiesa infatti è diventata molto complicata soprattutto per colpa mia. Ovviamente non abbiamo potuto inondare d'acqua una chiesa, perciò l'abbiamo ricostruita in CGI. Il problema è che quando ho girato la scena non ho usato la giusta apparecchiatura, non ho usato il motion control e non ho preso le misure esatte del punto in cui avevamo piazzato la videocamera all'interno della chiesa. Quindi i tecnici digitali sono dovuti andare sul posto per capire queste cose. Ci sono poi alcuni elementi che è davvero difficile ricostruire al computer e l'acqua è tra questi, perché non ha una forma definita ed è un qualcosa che si muove in modo molto dinamico. Ma ben più complicato è stato girare, come dicevo, la scena dei buoi al supermercato. Il primo ostacolo derivava dal fatto che nessuno voleva permettere che in un supermercato si facesse una cosa del genere, il secondo era legato ai buoi stessi: non vi sono praticamente più buoi in grado di trainare un aratro. Qualcuno mi consigliava di andare in Cina, qualcun altro mi supplicava di usare dei cavalli, poi però alla fine abbiamo trovato un museo del contadino nel sud della Polonia dove, a scopi educativi, esistevano ancora dei buoi addestrati per arare la terra. L'ulteriore problema veniva dal fatto che questi animali, seppur possenti, hanno le ginocchia molto fragili e quindi non li si può spostare con dei mezzi di trasporto. Abbiamo deciso perciò di trasferirci lì con tutta la troupe per girare quella scena. Abbiamo ricostruito in studio il supermercato, perché il pavimento andava messo sopra la terra e i buoi, arandolo, dovevano essere in grado di sfondarlo. Di nuovo, ci siamo bloccati perché il padre del protagonista, che spingeva l'aratro andava troppo piano rispetto ai buoi. Insomma, è stata un'impresa sovrumana. E, alla fine, quando sono riuscito a finire il film, l'ho mostrato a tutti i produttori e uno di loro mi ha detto: 'non dirmi che abbiamo fatto tutto questo casino con i buoi per avere una scena di soli 18 secondi'. [Ride] Ebbene, sì, è così". Il dramma di un paese Onirica è anche un film che parla della Polonia e del dramma vissuto dai suoi cittadini in particolare nel 2010, tra le inondazioni che colpirono il suo territorio e la caduta dell'aereo presidenziale, in cui persero la vita ben 89 passeggeri. Majewski lo racconta facendo irrompere da TV e radio notizie riguardanti i vari disastri. Di fronte alla catastrofe personale del protagonista di Onirica e a quella della Polonia, di nuovo è il linguaggio dantesco e dunque il linguaggio simbolico a servire come strumento di lettura e di riflessione: "Amo le cronache del Medioevo perché vi era un modo particolare di guardare alle cose. Perciò mi piace rileggere gli eventi con uno sguardo come se provenisse dal passato. E in questo, secondo me, è fondamentale il simbolismo. Per questo ho voluto raccontare la drammaticità di quel 2010 come se la vedessi con gli occhi di Dante. In particolare, la caduta dell'aereo presidenziale ha un forte portato simbolico perché è avvenuto proprio sui luoghi in cui i sovietici durante la Seconda Guerra Mondiale avevano ucciso 20.000 soldati e civili polacchi [evento noto come il massacro di Katyn, oggetto anche di un film di Andrzej Wajda, intitolato semplicemente Katyn, n.d.r.]. Con questo gesto i russi avevano voluto decapitare la classe dirigente del paese e lo stesso accadde in quel disastro aereo, 70 anni dopo. Quel che è accaduto nel 2010 è un qualcosa di inaudito, non era mai accaduto prima che tutta la leadership di un paese morisse in un incidente. E un ulteriore elemento simbolico che ho inserito nel film è quello relativo all'eruzione del vulcano islandese che, proprio nel giorno dei funerali, ha provocato l'annullamento di ben 6000 voli e dunque molti capi di Stato stranieri non hanno potuto partecipare alla cerimonia. Viviamo in un mondo in cui siamo così travolti dalle informazioni che non riusciamo più a riflettere intorno a questi eventi apocalittici. Ed è anche per questo che ho usato Dante, per usarlo come strumento di lettura del presente".