Le impronte sono la prova tangibile del nostro passaggio. Ci perdonerete se iniziamo la nostra recensione di Leave No Traces con quest'apertura poetica che introduce il tema fondante del film polacco, presentato in concorso al Festival di Venezia 2021, e già scelto dalla Polonia come candidato per l'Oscar al miglior film internazionale. Non sorprende la scelta di questo titolo che, attraverso la sua generosa durata, racconta una lotta tra cittadino e Stato, mostrandone i lati nascosti e violenti, riuscendo a trovare una comunione tra autorialità e commercialità.
Una traccia da seguire
Il film è ambientato nel 1983, in Polonia, un periodo in cui vige un senso di paranoia generale a causa della legge marziale. Due amici, Przemyk e Jurek, giovani studenti di famiglia colta (il primo è figlio della poetessa Barbara Sadowska) vengono fermati improvvisamente in una piazza della città da alcuni rappresentanti delle forze dell'ordine. Przemyk si rifiuta di mostrare la carta d'identità causando l'arresto di entrambi, che vengono portati in commissariato. I poliziotti inizieranno a picchiare ("Sulla pancia, così da non lasciare tracce" dice uno di loro) brutalmente e illegalmente Przemyk, tanto da causargli danni all'intestino irreparabili. Il ragazzo morirà di lì a pochi giorni. Colmo di vendetta e desideroso di giustizia, Jurek (interpretato da un buon Tomasz Ziętek), unico testimone dei fatti, cercherà di mandare a processo i poliziotti carnefici, ma si dovrà scontrare con il bisogno di nascondersi per non essere catturato, con i pensieri di amici e parenti e con uno Stato che tenterà in tutti i modi di insabbiare le vicende e screditare Jurek e la sua famiglia. Il ragazzo potrà solo contare sulla propria voce e sulla propria memoria, seguendo quell'unica traccia possibile per risvegliare una coscienza collettiva.
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Nemico a casa propria
Si tratta di un buon lavoro di regia, quello di Jan P. Matuszynski. Prediligendo la camera a mano, il nostro sguardo si immerge completamente nella Polonia dell'epoca, indagando in misura maggiore nella dimensione intima e personale del protagonista, alternando la lotta per la giustizia, alla perdita di un'innocenza, il sacrificio della propria vita privata a favore di un principio più aulico. Una scelta che appare coerente con ciò che il film intende raccontare, ovvero il tentativo di far ritrovare quell'empatia e quel sentimento umano che sembra lasciato troppo in disparte al contrario della macchina burocratica statale. Il punto di vista unico da abbracciare è chiaramente quello di Jurek, ormai un nemico a casa propria, anche letteralmente, e il film riesce a costruire, attraverso la messa in scena, l'estraneità di un ragazzo in un ambiente che non gli appartiene. Va detto che, nonostante le tematiche piuttosto dure, Leave No Traces rifugge dagli stilemi di un cinema più autoriale instaurando un dialogo importante con lo spettatore, che dà un ritmo piacevole e mai stancante alla storia, anche se non riesce a raggiungere dei picchi emotivi alti (e rinunciando, di conseguenza, a una certa memorabilità delle singole scene).
Lasciare le impronte del passaggio
Proprio quest'attenzione nella dimensione privata del protagonista, e le conseguenze di questa lotta, rallentano, soprattutto nella parte centrale, il film. Concentrandosi sugli aspetti legati alla famiglia, alla reazione del padre e alla scoperta di alcune relazioni segrete, il film sembra perdere il focus che fin lì aveva raccolto (e che poi ritroverà) sulla memoria del passato affinché si rifletta sul presente. Un film-impronta che, grazie al racconto di una storia vera, concludendosi con delle didascalie che narrano come la storia sia proseguita negli anni, dimostra come ci sia ancora bisogno quantomeno di conoscere queste storie. È anche l'unico segno rimasto che possiamo guardare. Il titolo del film, tradotto in italiano, è "Non lasciare tracce", senza definire un vero soggetto. Il primo riferimento è alla tecnica dei poliziotti, mentre picchiano i prigionieri, per evitare di venire condannati e negare la violenza che rivolgono loro. Paradossalmente, però, si riferisce anche a tutta l'inutilità della battaglia legale, soffocata dallo stesso governo. Anche questo tentativo di giustizia è destinato a scomparire come goccia nell'oceano, destinato a non lasciare traccia.
Conclusioni
Concludiamo la nostra recensione di Leave No Traces apprezzando l’approccio del regista polacco nel raccontare una storia in cui un cittadino sceglie di sfidare lo Stato, nonostante le conseguenze. Si tratta di un cinema di stampo civile che, al netto delle tematiche forti, è capace di parlare al pubblico e coinvolgerlo. A volte si ha la sensazione che i 160 minuti di durata siano un po’ troppo generosi, a causa anche di una mancanza generale di forti emozioni o di scene madri, ma giunti alla conclusione del film (e solo del film, la vicenda è ancora sospesa), si ha l’impressione che qualcosa sia rimasto. Uno stimolo alla riflessione, un malessere sulla difficoltà di avere giustizia. Anche, semplicemente, una traccia di un passato che non deve essere dimenticato.
Perché ci piace
- La storia vera mette in scena un conflitto tra cittadino e Stato che non lascia indifferenti.
- Si è partecipi della lotta che il protagonista porta avanti, a costo di molti sacrifici.
- Cinema di stampo civile, Leave No Traces sa come coinvolgere lo spettatore nonostante le tematiche.
Cosa non va
- I 160 minuti appaiono un po’ generosi, specie nella parte centrale.
- Mancano delle scene madri portatrici di forti emozioni.