Vite che vanno, vite che sfumano. Perché l'inventario umano della crisi non conosce sosta, ma solo l'ordinario squallore di un luogo-simbolo 'attraversato' dagli oggetti e da una moltitudine di storie, volti, esseri umani messi di fronte al dramma del debito - materiale e morale - che infetta (al pari di un virus) la recessione esistenziale dell'oggi. Il banco dei pegni come una spirale drammaturgica al ribasso, o ancora, come doloroso addio agli effetti personali di un benessere scomparso e di un'identità sociale eclissata.
Tutto suona profeticamente 'terminale' nella pellicola di Irene Dionisio, esordio nato da un'esigenza documentaristica ed inscritto nella grande tradizione di Frederick Wiseman (l'osservare in maniera laterale una crisi), dove ogni discrepanza economica è fonte di un malessere in attesa di esser pagato a caro prezzo. Anche, delle volte, con la stessa miserabile vita: così fragile e impotente dinanzi ad una struttura abietta e capitalistica, senza nome né possibilità di essere interpellata. Lungo una coralità di intenti, Le ultime cose guarda all'epocale scontro tra debitore e creditore che sovrasta i nostri tempi. E lo fa con progressione funerea, mettendo a dura prova le istanze del pubblico verso una crescente aderenza ai traumi dei personaggi nella scena. Sulla scia di un cinema minimale e neorealista dal budget ridottissimo.
Torino, Banco dei pegni. Una moltitudine impegna i propri averi, mentre tre storie si intrecciano intorno all'affresco di una piccola Italia stritolata dalla crisi economica e dal debito. La trans Sandra (Christina Rosamilia) è appena tornata in città nel tentativo di sfuggire ad un amore finito, quando è costretta a impegnare una pelliccia per sbarcare il lunario. Stefano (Fabrizio Falco), un giovane perito assunto da poco, si scontra con la dura realtà lavorativa e assiste ai sciagurati maneggi nel retroscena del Banco. Michele (Alfonso Santagata), anziano pensionato che non arriva a fine mese, per aiutare la sua famiglia si ritrova invischiato nel traffico del mercato nero.
Un film corale di denuncia
È un impatto sul reale forte quello della Dionisio, che si porta dietro tracce dardenniane e alcuni buoni spunti, suggerendo archi esistenziali 'concentrici' e uno stile dimesso da noir claustrofobico ritratto in luoghi asettici e letteralmente senz'anima. Dove a muoversi è un microcosmo grottesco spogliato delle sue sembianze naturali, contestualmente vittima o carnefice: di chi subisce l'umiliazione più grande (dai beni non riscattabili fino al rispetto per sé stessi) ma anche di chi la infligge attraverso un sistema legalizzato. Quel confine labile fra il quieto strazio (il Banco) e la moritura della propria 'anima' (ovvero la povertà degli ultimi), a separare ciò che è moralmente accettabile da ciò che non lo è. Eppure non tutto graffia come dovrebbe, perché intrappolato in acerbità da opera prima e per un'economia di mezzi da cui era lecito attendersi almeno un passo oltre, un rigore maggiore, più netto sul piano emotivo. Ed invece Le ultime cose rimane involontariamente nel mezzo, tra analisi psico-sociale e forma documentaristica va presto in 'debito' d'ossigeno. Colpa, a tratti, di un'opera corale le cui voci non sempre cantano all'unisono, o forse, il dover gestire un numero eccessivo di sottotrame che, atto dopo atto, diventano ripetitive.
Gli ultimi saranno gli ultimi
C'è però un'inquietudine sincera nella testa della giovane autrice, un andare dritta al cuore del problema con pudore e voglia di 'navigare' fuori dal classico immaginario mainstream. Inoltre, se da una parte le azzeccate scenografie di Giorgio Barullo si integrano perfettamente al plot, dall'altra le ottime caratterizzazioni del cast creano il ponte empatico per lo spettatore. Ai bravissimi Roberto De Francesco e Alfonso Santagata (misurato nelle parole, passivo e perdente), corrisponde una Christina Rosamilia dall'aspetto diafano e gli occhi velati di tristezza. Per un dolore diffuso che accomuna tutti, clienti e strozzini, ricchi facoltosi e poveri reietti; che è sfida quotidiana alle loro coscienze, come ad una penosa condizione che non si può barattare col proprio 'onore'. Peccato allora, che la Dionisio non infonda a livello di scrittura il necessario coraggio per seguirli più da vicino. Rimanendo ai margini dell'inquadratura, a favore di un approccio narrativo visivamente povero e livido.
Movieplayer.it
2.5/5