Dal 5 al 12 ottobre (con l'aggiunta dell'evento di preapertura il 4 e una replica speciale il 13) si è tenuta la trentottesima edizione delle Giornate del Cinema Muto 2019, kermesse cinematografica organizzata ogni autunno a Pordenone e riconosciuta come principale evento mondiale dedicato ai primi tre decenni della Settima Arte. Per la quarta volta consecutiva il festival era sotto la direzione di Jay Weissberg, corrispondente per l'Italia della rivista americana Variety, e come da consuetudine è stato servito agli avventori - studiosi, archivisti, musicisti, critici - un programma ricco da divorare senza esitazioni: caratteristica peculiare delle Giornate, infatti, è che ci sia una sola proiezione per fascia oraria, sempre nello stesso luogo (il Teatro Verdi o, eccezionalmente, il Cinemazero), il che consente ai più zelanti di vedere tutti i titoli proposti all'interno della prestigiosa kermesse friulana. Una kermesse di cui vi raccontiamo l'edizione 2019, a base di Charlie Chaplin, Alfred Hitchock e molto altro.
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Maestri in apertura e chiusura
Dopo la preapertura del 4 ottobre, dedicata all'attore Reginald Denny (un divo da riscoprire, a cui le Giornate hanno dedicato una piccola ma spassosa personale), il festival è iniziato in pompa magna la sera del 5 con la copia restaurata de Il monello, il primo lungometraggio da regista di Charles Chaplin, mentre la chiusura, il 12 è stata affidata a Il pensionante, il primo thriller di Alfred Hitchcock, anch'esso restaurato per l'occasione dal British Film Institute (mentre per il film di Chaplin il lavoro è stato fatto da L'Immagine Ritrovata a Bologna). Due gioielli, impreziositi dall'accompagnamento musicale: tutte le proiezioni delle Giornate prevedono infatti la musica dal vivo, il più delle volte con il solo pianoforte, ma in alcuni casi - tra cui l'apertura e la chiusura - si ricorre all'orchestra intera, riproducendo l'atmosfera d'epoca con passione filologica. Questo è accaduto anche per il consueto evento del mercoledì sera, in questo caso il nuovo restauro - corrispondente all'incirca al 98% della visione originale del regista, stando al supervisore generale del progetto - di Frammenti di un impero, l'ultimo grande capolavoro del cinema muto sovietico. Una riscoperta epocale, grazie all'esecuzione della partitura dei tempi, uno degli elementi che hanno contribuito al fascino ambivalente del film: è un'opera di propaganda, o una satira anti-sovietica? Un quesito al quale anche chi lavorò al lungometraggio darebbe risposte diverse.
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Diavoli, fari e risate
Altri gioielli mostrati alle Giornate sono il celeberrimo Faust di F.W. Murnau e Gardiens de phare di Jean Grémillon, quest'ultimo in un 35mm che accentua la qualità ipnotica di un'opera conturbante e magnifica, da rivisitare proprio quest'anno in occasione dell'uscita della rilettura ufficiosa che è The Lighthouse di Robert Eggers. E poi c'è stato Duck Soup. No, non stiamo parlando de La guerra lampo dei fratelli Marx, ma di un corto di Stanlio e Ollio del 1927. Per l'esattezza, è il primo corto dove Stan Laurel e Oliver Hardy appaiono come duo, anche se non ancora con la designazione ufficiale che arrivò qualche mese dopo (ragion per cui soprattutto Hardy ha un look diverso dal solito).
Ritenuto perduto a lungo, il film era stato rinvenuto nel 1974 con didascalie francesi e un formato d'immagine tagliato, mentre il nuovo restauro proiettato a Pordenone, a cura della Lobster Films, è stato realizzato a partire da una copia integra scoperta di recente negli archivi del BFI (con didascalie che alternano inglese britannico e americano, quest'ultimo in un momento leggermente osé che all'epoca fu rimosso dalla censura americana). Senza ombra di dubbio uno dei momenti più alti del programma dedicato allo slapstick europeo, con titoli provenienti principalmente dalla Francia e dai paesi nordici.
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Filologia, portami via
Il programma delle Giornate del Cinema Muto 2019 contiene sempre titoli per ogni palato, spaziando dalla filmografia di William S. Hart (divo del western muto) ai corti della Repubblica di Weimar, passando per i film pubblicitari scandinavi (notevoli in quanto veri e propri cortometraggi, con una durata media di cinque minuti) e quelli sul cinema, con una delle chicche di questa edizione: Cut It Out: A Day in the Life of a Censor, farsa britannica del 1925 dove un censore troppo zelante, dal cognome splendidamente ironico (Sunbeam, ossia "raggio di sole"), interviene costantemente sul set per assicurare che non vi siano contenuti licenziosi, politici o violenti. Il tutto all'insegna di un festival che è dedito all'amore per il cinema allo stato puro: ogni proiezione è preceduta da un cartello che identifica il musicista di turno, accolto regolarmente da calorosi applausi, e i film stessi iniziano con indicazioni relative al restauro e/o alla provenienza della copia, talvolta con rivelazioni sorprendenti (il film sovietico Father Sergius, per esempio, proveniva dal KAVI di Helsinki, con sottotitoli stampati sulla copia in finlandese e svedese). Una settimana di cinefilia molto appagante, tra fotogrammi riscoperti e accompagnamenti musicali che, con poche note, ci trasportano in un'altra epoca, ovviamente in rigoroso, religioso silenzio. E con la mitica sigla realizzata dal compianto Richard Williams, di cui potete vedere un estratto qui sotto.