Lamezia Film Fest 2017: Ferrara, Capossela e Finocchiaro, “L’importanza delle radici”

La quarta edizione del festival calabrese dedicato agli esordi d'autore si chiude sotto il segno del connubio tra cinema e musica. E arriva Vinicio Capossela.

La quarta edizione del Lamezia Film Festival si conclude sotto il segno dell'arte e con lo sguardo già rivolto al futuro che sarà di crescita, maturazione e consolidamento. Sul palco un piacevole cortocircuito di artisti: la chiacchierata appassionata con Donatella Finocchiaro, la sacralità di Abel Ferrara e a la musica di Vinicio Capossela. L'occasione è la premiazione dei corti della sezione Colpo D'Occhio e la consegna del premi Esordi d'autore (Andata e ritorno (work-in-progress) per la Finocchiaro, The Driller Killer per Ferrara e la colonna sono di Dieci inverni per Capossela).

Donatella Finocchiaro in una scena del film I galantuomini
Donatella Finocchiaro in una scena del film I galantuomini

Donatella Finocchiaro arriva a Lamezia direttamente da Maratea, il set italiano di Trust, la serie sul rapimento di John Paul Getty III girata da Danny Boyle tra l'Inghilterra e l'Italia e che coinvolge anche Emanuele Crialese, regista di una delle puntate e vecchia conoscenza di Donatella. Il suo esordio alla regia del 2011? Non le piace definirlo così, piuttosto "è stato un gioco, volevo raccontare Catania, la mia città, così come l'ho vissuta negli anni '90 nel momento di suo massimo splendore e far vedere cosa è diventata dopo. Mi piaceva seguire questo 'up and down', il suo percorso artistico e dar voce a tutti quelli che le avevano dato colore; all'epoca era considerata la Seattle d'Europa". "Forse" - aggiunge - "se fossi nata in un altro luogo non avrei fatto questo cammino. Ho sempre pensato che ciò che ti può dare il luogo dove nasci è fondamentale. E poi noi catanesi siamo come le cozze attaccate agli scogli; fino all'anno scorso vivevo a Catania, poi abbiamo deciso di trasferirci a Roma dove viviamo da un anno, ma io non vedo l'ora di tornare a casa".

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Radici, 'andate e ritorni'

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Chissà che il Sud non sia in fondo il ritorno a casa di Abel Ferrara, italo-americano, originario di Sarno e innamorato di Piazza Vittorio, multietnico quartiere della capitale dove vive da ormai tre anni e oggetto del suo ultimo documentario passato allo scorso Festival di Venezia: "Il mio sangue è qui, il mio modo di fare film deriva da qualcosa che è in questa terra, racconta: "La maggior parte della mia ispirazione arriva dai film di Rossellini, Antonioni e Pasolini che vedevo quando ero ragazzo". "Il cinema è come la vita", spiega, e ha girato Piazza Vittorio per imparare "come vivono le persone in quel quartiere e per capire la zona in cui vivo dando una voce a tutte le diversità che la popolano" .
Il suo prossimo passo sarà un film su Padre Pio, di cui ha già scritto una sceneggiatura e realizzato un documentario, Searching for Padre Pio. "Padre Pio era un uomo di grande coraggio, sapeva entrare in empatia con la gente e aveva il dono straordinario di ascoltare il dolore delle persone. - dice - È nato lo stesso anno di mio nonno, che per me era un eroe, proprio come Padre Pio, con una grande forza d'animo".

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Duetti

Indebito: Vinicio Capossela in una scena del documentario sul blues ellenico dei rebetes contro il potere
Indebito: Vinicio Capossela in una scena del documentario sul blues ellenico dei rebetes contro il potere

E se la ricerca della propria identità per Ferrara è cominciata a Sarno dove nacque suo nonno Abel, per Vinicio Capossela l'"ombra delle radici" è stato il suo libro, Il paese dei Coppoloni: "Sono cresciuto con il racconto di un paese, ma non l'ho mai veramente vissuto, i miei genitori parlavano il dialetto, ma sono un paesano di seconda generazione. Credo, come Ernesto De Martino, che per essere cosmopoliti bisogna avere villaggio a cui tornare; le radici generano ombre che, chi vive nel paese dei propri genitori ha dentro, e con cui invece prima o poi dovrà confrontarsi chi è cresciuto in un contesto culturalmente diverso".
Ce n'è a sufficienza per continuare a parlare di cinema, musica, peccato, grazia e redenzione, tanto quanto basta perché il palco di quel piccolo teatro di provincia diventi uno spazio sacro, sospeso tra le note di Forever Young di Bob Dylan, una versione chitarra e pianoforte improvvisata da Ferrara e Capossela, un duetto d'eccezione, che farebbe davvero piacere vedere insieme ancora una volta. Chissà.