Ci sono evidenti punti di contatto tra questo secondo film di Dan Fogelman, La vita in un attimo, e lo show che lo ha reso protagonista assoluto dello scenario televisivo negli ultimi anni, This Is Us. Per cominciare, si parte da un letto coniugale e da una gravidanza, con un senso di intimità e di autentica connessione umana che pochi sanno evocare dal nulla come Fogelman; e si continua incassando ed elaborando i colpi che la vita ci assesta; e sono colpi durissimi, da cui è difficile riprendersi - qualche volta impossibile - anche per gli eroi designati di una storia.
Fogelman è un autore prolifico e abile che ama sovvertire le convenzioni narrative, e La vita in un attimo, come suggerisce il titolo stesso, punta il dito verso il più sorprendente e inaffidabile dei narratori, la vita stessa, chiamandola a raccontare una storia tragica, con implicazioni disturbanti e momenti di grafica brutalità, ma che, naturalmente, è anche una storia meravigliosa. O forse no?
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L'amore, la tragedia e Bob Dylan
Un altro dei tratti distintivi della scrittura di Dan Fogelman è la giustapposizione di registri antitetici, con la leggerezza e l'ironia che si accompagnano a temi profondi, all'esplorazione di traumi devastanti e alla ricerca un po' manipolativa della risposta empatica dello spettatore, indotto alla commozione liberatoria. Così La vita in un attimo prende le mosse con un buffo prologo tarantiniano narrato da Samuel L. Jackson (avevamo detto da un letto coniugale, avete ragione, consideratelo un doppio passo alla Fogelman) che si rivela essere uno scorcio bizzarro e sconcertante nella mente di un uomo devastato dal dolore: Will Dempsey, sceneggiatore newyorkese che ha il sorriso irresistibile di Oscar Isaac, ma non lo sfoggia più da sei mesi, da quando lei, Abby, la donna che ha amato più di sé stesso, se n'è andata.
Sui personaggi di Isaac e di Olivia Wilde è incentrata la prima parte de La vita all'improvviso, e con questo rischiamo di aver già detto troppo: per cui torniamo al tepore di quel letto, in cui una coppia di innamorati e il loro coinquilino peloso Fuckface sono impegnati nell'ascolto del comeback album di Bob Dylan Time Out of Mind, per cercare l'intimità, la tenerezza, il divertimento, ovvero le cose migliori che il film ha da offire, le quali, ahinoi, si esauriscono molto in fretta. Fogelman vuole andare oltre, portarci lontano, raccontare una storia troppo complessa e affollata, che cambia passo e scenario troppo in fretta e lascia in sospeso troppi spunti, narrativi e metanarrativi, per essere organica e coinvolgente.
Un incubo andaluso
Tra balzi temporali parecchio problematici, nuovi personaggi introdotti a metà film e dettagli oziosi che vorrebbero essere scorciatoie per caratterizzarli, il film spreca in fretta il suo potenziale, diventando artificioso e irritante, oltre che prevedibile nei suoi esiti ultimi. In This Is Us, l'ampiezza del respiro narrativo, l'attenzione ai personaggi e alla dinamiche tra loro rendono tollerabili, anzi spesso piacevoli, l'ordito narrativo imponente e le spavalde dvagazioni; nelle due ore scarse di La vita in un attimo i personaggi non hanno il tempo di decantare, trascinati dagli eventi. Eventi non determinati dalla "vita" ma dalla frenesia di Fogelman, che, nel suo tentativo maldestro di imitarla, dimentica di passare del tempo coi suoi protagonisti, dimentica quello che serve per farceli amare, per farci soffrire e gioire con loro, e dimentica di lasciarci il piacere di ricomporre il puzzle per conto nostro.
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Di This Is Us ci manca anche l'abilità di raccontare l'esperienza umana con autentica empatia e un atteggiamento responsabile, e in questo senso emerge l'importanza di un team di sceneggiatori ampio e diversificato. Fogelman in solitaria si rivela incapace di andare oltre la prospettiva del maschio bianco etero che vede nelle donne angeli custodi, madri idealizzate che sono tuttavia personaggi abbozzati e accessori, spesso definiti solo dall'avvenenza fisica ("Abby aveva tutto quello che si potesse desiderare in una moglie, era protettiva ed era bellissima" "Isabel non si aspettava granché dalla vita, era solo la quarta più carina di cinque sorelle"). Ad essere particolarmente deludente è il trattamento subito dal personaggio di Olivia Wilde, al quale la sceneggiatura attribuisce un passato atroce, traumi e abusi della natura più ripugnante, che non hanno alcun impatto sull'intreccio, perché Abby è investita dalla luce che non concede ombre: la luce dell'amore, il grande dono che tutto redime, anche la tragedia, persino la morte. Peccato che, in una prospettiva così ristretta, miope e superficiale, sia davvero difficile crederci.
Movieplayer.it
2.0/5