Les Ogres: anime danzanti in drammi che bruciano

Léa Fehner mette in scena un progetto in parte autobiografico raccontando il magma sotto la superficie teatrale di una compagnia itinerante: lo fa con una messa in scena contrastata, che tuttavia regala attimi di vera poesia.

Les ogres: un'immagine del film
Les ogres: un'immagine del film

Di città in città, di prato in prato: la vita itinerante è esattamente questo, un coacervo di anime crepuscolari che si spostano di notte e il giorno dopo si trovano in una realtà nuova, da scoprire e da far scoprire a chi la ritiene ormai scontata. Il Davaï Théâtre fa esattamente questo, tutto l'anno, in compagnia di qualche roulotte e di una sgangherata organizzazione che mette in scena un Chechov pieno di ombre e contrasti, cacofonico, delirante eppure forse proprio per questo pieno di fascino. Gli artisti di strada si nascondono sotto le pieghe del loro tendone, dove avviene una magia che di giorno in giorno è destinata ad uscire da quelle mura di stoffa ed invadere la loro vita, che si trasforma sempre di più nella pallida imitazione di una pantomima dai caratteri esasperati.

Les ogres: un momento del film
Les ogres: un momento del film

Léa Fehner ha attraversato la Francia in lungo e in largo grazie alla compagnia teatrale fondata dal padre: c'è un tocco autobiografico nella sua opera seconda, che mette in scena i proverbiali orchi del titolo (Les ogres) pronti a divorare le emozioni degli altri fagocitando ogni realtà esterna. Ad interpretarli, il padre e la madre della stessa regista, oltre alla sorella Inés, che rimettono in scena esattamente come raccontato nel film un dramma familiare fin troppo realistico eppure forse per questo estremamente credibile, anche nei momenti di più assurda pazzia.

Tra realtà e finzione

Les ogres: Adele Haenel e Marc Barbé in una scena del film
Les ogres: Adele Haenel e Marc Barbé in una scena del film

Una storia fuori dal comune e molto lineare, che tuttavia si fonde con un drammatico esistenzialismo che scorre nelle vene della regista, e che proprio per questo riesce ad essere magistralmente rappresentato. Fin dai primi momenti Léa Fehner riesce a costruire una scena nella scena, infilando la camera nei dettagli di una messa in scena sempre cacofonica, sempre dedita al caos, sempre completamente sregolata. Ci troviamo catapultati in un mare di risate, di oggetti, di canzoni e di vestiti appariscenti che avvolgono chi guarda affascinandolo completamente. Les Ogres diventa così un folle circo di caratteri disordinati, ai margini della vita, che vivono la vera libertà eppure si trovano intrappolati in loro stessi e nelle loro più grandi paure.

Les ogres: Adele Haenel in un'immagine del film
Les ogres: Adele Haenel in un'immagine del film

Il contrasto di una vita itinerante, priva di costrizioni eppure legata dai rimpianti, è tutta nei personaggi schivi della regista: che non li guarda quasi mai negli occhi, ma li nasconde dietro le ombre e dietro gesti talmente eclatanti da catturare tutta l'attenzione. A portare avanti il gioco ci sono dei veri attori teatranti come gli straordinari François Fehner e Marion Bouvarel, vera anima del film, affiancati da Marc Barbé e Adele Haenel, che trova dopo la collaborazione con i fratelli Dardenne una nuova e forse più ricca dimensione, regalandoci un personaggio puro, profondo, perfetto.

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Il trucco c'è e si vede

Les ogres: Lola Dueñas in un'immagine del film
Les ogres: Lola Dueñas in un'immagine del film

Come nei migliori trucchi di magia, che manipolano gli occhi di chi guarda per far vivere la meraviglia, anche i teatranti nascondono dietro una costante performance i loro dolori più grandi per continuare a far vivere la meraviglia e nascondere il dramma della loro vita. Eppure quel disagio è destinato ad uscire prepotente, che sia urlato nel megafono o sussurrato a dei bambini come una storia della buonanotte. Al di sotto di quella felicità urlata il magma delle loro emozioni ribolle fino a scoppiare, invadendo l'ambiente con situazioni lontane ma mai del tutto dimenticate, che come lava bollente trascinano e bruciano ogni relazione tra i membri della compagnia; un punto di vista profondamente umano che ha come intenzione primaria quella di scavare sotto la superficie. Léa Fehner riesce a farlo con profonda empatia senza rinunciare ad una messa in scena al servizio del meccanismo, che non fallisce quasi mai e coinvolge profondamente. Un progetto ambizioso ma accorato, che spinge verso l'ottimismo della (ri)nascita e regala attimi di vera poesia.

Movieplayer.it

3.5/5