La paura mangia l'anima. Non il cuore
La storia di Don Puglisi, parroco di Brancaccio, paesino della Sicilia, è una di quelle vicende italiane di mafia, che lasciano senza parole.
Tornato al suo paese nativo per togliere i bambini dalla strada e dare loro l'opportunità di un futuro diverso da quello a cui sarebbero destinati, don Puglisi, si scontra con le regole di Cosa Nostra e con l'omertà dei cittadini. Solo i ragazzini sembrano apparentemente seguirlo. Ma il tempo, inesorabilmente, dirà la sua, e quando le minacce si fanno pressanti, e gli attentati a Falcone e Borsellino danno segnali inquietanti, Puglisi, appoggiato solo da una giovane suora e dal vicario si ostina a resitere, ben sapendo che prezzo potrebbe pagare.
Ulteriore capitolo della lunga serie di film di casa nostra, Alla luce del sole ha la sua essenza nei bambini di Brancaccio. La loro presenza è il sottofondo onnipresente alle riprese. Le immagini iniziali della partita di calcio nell'improvvisato campo della chiesa, gli occhi innocenti dei due fratellini seduti ai bordi della strada, l'espressione da "teppa" di Saro e di Carmelo. I segnali positivi, sembra dire Faenza, sono piccoli, quasi invisibili, e il close-up sulla mano del ragazzino che stringe il fischietto da artibtro, mentre viene punito a cinghiate dal padre, ne è l'emblema.
In questo inferno, dove il terrore è insito nel suolo su cui si cammina, il trait d'union fra l'ambiente e i dettagli è Zingaretti, protagonista di una solida interpretazione, che evita al lungometraggio di diventare un ovvio one man show.
Quanto scritto non dimostra che il film sia riuscito. Alla luce del sole si pone a un confronto inevitabile con film come I cento passi e Un eroe borghese"che, nella messa in scena e nella sceneggiatura, sono assolutamente superiori.
Faenza ha però il merito di mostrare l'innocenza di chi ancora non è contaminato, darle una voce, e un sottile grido una speranza.