L'ineluttabile incalzare della solitudine
Il titolo del film rappresenta l'unico sorriso in scena dei personaggi in novantanove minuti. Whisky è infatti l'equivalente di cheese per gli americani quando si deve scattare una foto di gruppo. Il resto del lungometraggio vive infatti nell'apatia e nel grigiore della vita, fatta di routine a cui nessuno può sfuggire.
Il Signor Jacobo, ogni mattina, incontra la collaboratrice Marta sulle soglie della sua minuta fabbrica di calze, apre la serranda, avvia gli obsoleti macchinari, e si siede davanti alla sua macchina da scrivere ante litteram, mentre le dipendenti lavorano. La commemorazione della morte della madre è l'occasione per invitare il fratello che vive in Brasile da anni. L'arrivo di Herman (Hermano in spagnolo significa fratello) lo induce a chiedere a Marta, in cambio di una ricompensa, di trasferirsi a casa sua e improvvisarsi compagna di vita per i tre giorni di permanenza dello stretto parente.
La visione di Whisky è impegnativa, poichè la vita dei protagonisti lascia scampo solo alla solitudine. Ma non una solitudine sofferta, bensì una solitudine senza emozioni, piatta, seriale, destino cieco per delle esistenze privi di alti e bassi. Le inquadrature fisse degli attori, degli ambienti, dei dettagli comunicano pura staticità in una realtà dove persino le barzellette non fanno ridere. L'immobilità di questo mondo, indifferente alle evoluzioni della tecnologia, potrebbe essere assimilabile a quello de La fiammiferaia di Kaurismaki, mancando, tuttavia, del grottesco di cui il regista finlandese è maestro.
Whisky diviene così una linea retta e prevedibile, al di fuori degli schemi tradizionali, che non convince proprio per quel suo aspetto sperimentale, al limite dell' esercizio di stile di un regista uruguayano (ll film è ambientato in Sud America) che si compiace dell' utilizzo della macchina da presa allo scopo unico di non produrre emozioni.
La solitudine, è vero, è anche questo.